Un piano sociale per le famiglie colpite dalla crisi di Stellantis

Un piano sociale per le famiglie colpite dalla crisi di Stellantis

La crisi dello stabilimento Stellantis non è solo un dramma economico, ma una ferita profonda per il tessuto sociale del nostro territorio. A rischio non ci sono soltanto i posti di lavoro degli operai diretti, ma anche quelli di chi lavora nell’indotto e di chi, in modo indiretto, dipende da un’economia locale che potrebbe subire un contraccolpo devastante.

In questi giorni le immagini delle proteste e degli scioperi parlano di tensioni che rischiano di esplodere. Si stanno organizzando tavoli per provare a salvaguardare i posti di lavoro, e su questo l’impegno delle istituzioni e delle parti sociali sarà fondamentale.Ma c’è una domanda che dobbiamo porci: cosa succederà alle famiglie che, nonostante gli sforzi, perderanno comunque il loro reddito? Possiamo immaginarlo e dobbiamo prepararci, principalmente come Istituzioni ma in un processo capace di coinvolgere tutta la comunità del territorio, così come abbiamo imparato a fare fronteggiando l’emergenza Covid.

Un’emergenza sociale da non sottovalutare

Come chi ha vissuto l’esperienza amministrativa durante l’emergenza Covid sa bene, affrontare crisi di questa portata non significa limitarsi a gestire l’oggi, ma significa anche pianificare per il domani. Quella che abbiamo davanti potrebbe rivelarsi un’emergenza ancora più lunga e complessa, con centinaia di famiglie costrette a rivedere radicalmente le proprie vite.Ci sono misure che sarebbe opportuno mettere in campo prima che la situazione peggiori ulteriormente. Ad esempio, si potrebbe pensare a un coordinamento tra Comuni, distretti sociali, Provincia, Regione e tutte le realtà che operano nel terzo settore. Un tavolo dedicato alle conseguenze sociali della crisi potrebbe essere lo strumento per gestire i bisogni più immediati, come il sostegno alimentare o il pagamento delle utenze, ma anche per progettare interventi di più ampio respiro, come percorsi di formazione e reinserimento lavorativo.

Non solo un problema economico

A confermarlo è anche l’Agenzia Europea delle Droghe (EUDA), che lo scorso settembre ha pubblicato uno studio sull’impatto delle recessioni economiche sull’uso di droghe illecite. Il rapporto evidenzia come crisi economiche prolungate possano aggravare il consumo di sostanze, colpendo in modo particolare i giovani e i gruppi socialmente vulnerabili.

Un appello alla prevenzione

Sicuramente la politica è ancora in tempo per evitare che la chiusura dello stabilimento Stellantis diventi una crisi irreversibile per Cassino e per la provincia di Frosinone. Vedremo se stavolta la nostra classe dirigente si dimostrerà all’altezza dei grandi problemi di questo nostro tempo. E’ qui che si capisce la differenza tra quanto può essere facile vincere le elezioni e quanto poi è difficile governare e dare risposte concrete ai cittadini. Nel frattempo come comunità, abbiamo già dimostrato durante altre emergenze la nostra capacità di unirci e di trovare soluzioni. Ora è il momento di pensare non solo a salvare ciò che possiamo salvare, ma anche a proteggere chi rischia di rimanere indietro.

La necessità di un approccio integrato

Al di là dei tavoli di confronto per la salvaguardia dei posti di lavoro, già ben presidiati dalle organizzazioni sindacali, penso sia necessario attivare anche un piano d’azione che coinvolga le istituzioni e le realtà locali:
    • Comuni e distretti sociali: per monitorare le esigenze delle famiglie e coordinare gli interventi di assistenza.
    • Provincia e Regione: per allocare risorse straordinarie e implementare politiche attive del lavoro.
    • Terzo settore e sindacati: per offrire supporto psicologico, formazione professionale e orientamento al reinserimento lavorativo.
Si pensi ad esempio alla possibilità di istituire un fondo regionale di emergenza destinato a sostenere le famiglie colpite dalla crisi. Coprendo spese essenziali come mutui, affitti e utenze.

Potenziare i servizi sociali

O al potenziamento dei servizi sociali per offrire assistenza immediata, consulenza legale e supporto nella ricerca di nuove opportunità lavorative in collaborazione con enti di formazione e aziende, per facilitare il reinserimento nel mercato del lavoro.La crisi dello stabilimento Stellantis rappresenta una sfida senza precedenti per la nostra comunità. Ma non è solo una questione di numeri o di politica industriale: si tratta di difendere la dignità delle persone e il futuro delle famiglie. Questo richiede che tutti, dalle istituzioni alle organizzazioni sociali, passando per le imprese, facciano la loro parte. Aspettare rischia di significare trovarsi troppo tardi davanti a un’emergenza ormai ingestibile.
Giovani: impariamo ad ascoltarli

Giovani: impariamo ad ascoltarli

Oggi, nella Giornata per i diritti dei bambini e degli adolescenti, voglio parlarvi di un tema che mi sta a cuore: il modo in cui raccontiamo i giovani e le famiglie. Troppo spesso, quando si parla di ragazzi, il discorso si concentra sul disagio: li dipingiamo come fragili, problematici, in crisi. Dall’altra parte, i genitori finiscono sotto accusa, considerati incapaci di relazionarsi con i propri figli. È una narrazione che non funziona, e soprattutto non aiuta. Oggi più che mai, dobbiamo andare oltre.

Giovani: non una crisi, ma una risorsa

Sì, è vero, i dati mostrano delle criticità. Il 14% dei minori vive in condizioni di povertà assoluta, quasi uno studente su dieci conclude la scuola senza avere competenze di base adeguate, tanti ragazzi faticano a vedere regolarmente gli amici o vivono episodi di isolamento sociale​. Ma fermarsi a questi numeri significa dare un’immagine incompleta e ingiusta delle nuove generazioni.

I giovani non sono un problema, e nemmeno una “categoria fragile” da proteggere a tutti i costi. Sono invece una risorsa straordinaria. Nonostante le difficoltà, oltre il 60% degli adolescenti tra i 14 e i 19 anni dichiara di guardare al futuro con fiducia​. Cresce il loro impegno in attività di volontariato e movimenti per il cambiamento climatico. Questi ragazzi hanno una forza e una capacità di visione che dobbiamo riconoscere e valorizzare, non etichettare come “emergenza”.

E i genitori? Anche loro sono parte della soluzione

I genitori, a loro volta, finiscono spesso nel mirino. Uno studio recente ci dice che quasi la metà degli adulti sente di non riuscire a comunicare con i propri figli​. È facile, troppo facile, trasformare questo dato in un giudizio: “i genitori non sanno fare il loro lavoro”. Ma questa lettura è ingiusta e controproducente.

Dietro queste difficoltà, spesso, ci sono fattori esterni: il lavoro che lascia poco tempo, la pressione sociale, l’incertezza economica. I genitori non sono incapaci; sono persone che, come tutti, hanno bisogno di essere ascoltate e supportate. Non si tratta di fornire manuali d’istruzioni, ma di creare le condizioni perché le famiglie possano sentirsi parte di una rete di supporto, capaci di affrontare le sfide insieme ai propri figli.

Un cambiamento possibile, ma solo insieme

La verità è che non ci sono scorciatoie. Se vogliamo migliorare la condizione dei ragazzi e delle famiglie, dobbiamo lavorare insieme. Le scuole, le istituzioni, le associazioni, le famiglie stesse: tutti devono sentirsi coinvolti. Non si tratta di interventi miracolosi, ma di piccoli passi concreti.

Ad esempio, dobbiamo ricostruire spazi di dialogo, dove giovani e adulti possano parlarsi davvero. Troppo spesso, il problema non è la mancanza di soluzioni, ma la mancanza di ascolto. Impariamo a guardare i ragazzi negli occhi, a sentire le loro storie, a prenderli sul serio. E allo stesso modo, impariamo a riconoscere il valore dei genitori, a dar loro fiducia e strumenti per sentirsi protagonisti nel loro ruolo educativo.

Superare l’allarme per costruire responsabilità

Per fare questo, dobbiamo cambiare il modo in cui raccontiamo il disagio. Il disagio non è un’etichetta, non è una condizione definitiva. È una sfida, e come tutte le sfide può essere affrontata, se lavoriamo insieme.

Dobbiamo superare la logica degli allarmi. Le famiglie non sono “in crisi”, i ragazzi non sono “persi”. Sono parte di una società che ha bisogno di riconoscere i propri punti di forza per crescere. È qui che entra in gioco la responsabilità condivisa: smettere di cercare colpevoli e iniziare a costruire soluzioni.

Un futuro che parte dall’ascolto

La Giornata per i diritti dei bambini e degli adolescenti è il momento giusto per ricordarci che i giovani non sono numeri, né problemi da risolvere. Sono persone, con storie, sogni e potenzialità. E i genitori, come loro, non sono spettatori inermi, ma protagonisti di una comunità che può crescere solo insieme.

Guardiamo al futuro con fiducia. Non servono proclami, ma piccoli gesti concreti: ascoltare, dialogare, agire insieme. Perché non siamo emergenza. Siamo una società che ha tutto quello che serve per crescere e migliorare. Basta iniziare a crederci davvero.

La sfida educativa nelle periferie

La sfida educativa nelle periferie

Ho avuto l’opportunità di partecipare alla visita della Commissione Parlamentare sulle Periferie, invitato dall’On.le Paolo Ciani. Un’occasione importante, che ha portato i parlamentari a toccare con mano la realtà di due dei quartieri più complessi di Cassino, il Colosseo e San Bartolomeo. La visita si è conclusa proprio a San Bartolomeo, all’interno della Casa di Willy, uno spazio nato come simbolo di riscatto e attenzione al benessere delle persone, specialmente dei giovani.

Un esempio di rigenerazione sociale

La Casa di Willy è molto più di un centro educativo. Rappresenta l’impegno di un’amministrazione che ha voluto investire non solo in opere pubbliche e manutenzione, ma soprattutto nel tessuto sociale del quartiere. È un luogo di aggregazione sana ed educativa, pensato per dare ai ragazzi un’alternativa alla strada, un posto dove sentirsi accolti e supportati. Durante l’incontro, ho sottolineato ai parlamentari che questo tipo di iniziative non può restare un’eccezione. Ogni Comune dovrebbe avere a disposizione fondi per creare spazi di aggregazione, capaci di intercettare i giovani, soprattutto quelli più vulnerabili, anche attraverso interventi educativi di strada.

Investire sui giovani

Troppo spesso, infatti, le risorse pubbliche vengono destinate quasi esclusivamente alla manutenzione stradale o alle opere pubbliche, lasciando scoperti ambiti fondamentali come quello educativo. Non è possibile – ho detto ai parlamentari presenti – che si spendano milioni di euro per rifare le strade e poi non ci sia un centesimo per la protezione educativa dei ragazzi dei nostri quartieri. Questo è lo spirito con cui abbiamo voluto aprire il centro educativo a San Bartolomeo, e ci sarebbe bisogno di un’iniziativa simile anche al Colosseo, a Caira, a Sant’Angelo, a San Michele, e in tutti i quartieri di Cassino. È una necessità che le parrocchie, un tempo fulcro della vita sociale e della crescita educativa attraverso gli oratori, non riescono più a soddisfare per diversi motivi. Oggi è lo Stato, tramite i Comuni, che deve farsi carico di questa responsabilità.

Il ruolo delle istituzioni nella prevenzione

I fatti di cronaca che quotidianamente coinvolgono i giovani, tra reati violenti, episodi di bullismo, e altre forme di disagio, testimoniano che l’emergenza educativa è sempre più importante. Le istituzioni non possono più girarsi dall’altra parte o limitarsi a dare la colpa alle famiglie. Servono interventi strutturali e risorse per rispondere a queste sfide. La Casa di Willy è un esempio di buona pratica da replicare: non solo un centro, ma un progetto che coinvolge anche le realtà del terzo settore, una ricchezza inestimabile per i quartieri che può fare la differenza nella vita di molti ragazzi.

Servono impegni concreti e risorse certe

Viviamo in un’epoca in cui molti ragazzi sono soli di fronte a un mondo che si muove troppo in fretta, in cui la connessione è facile, ma i legami profondi sono rari. Sono figli di un tempo che non offre più certezze, che a volte sembra chiedere loro di crescere in un ambiente dove la violenza e il disorientamento sono all’ordine del giorno. In questa realtà, gli adulti – istituzioni, famiglie, comunità – hanno il dovere di tendere una mano, di creare spazi sicuri, di farsi garanti di una presenza che non giudica, ma guida.

Se non ci impegniamo ora a costruire luoghi come la Casa di Willy, a investire risorse nell’educazione e nella protezione dei nostri ragazzi, rischiamo di lasciare una generazione senza bussola, in balia di scelte difficili e spesso autodistruttive. La vera sfida per le periferie, e per tutti noi, è costruire insieme un futuro che non abbandoni i nostri giovani, ma li accompagni, con la pazienza e la cura che meritano.

Quando l’abitudine diventa compulsione

Quando l’abitudine diventa compulsione

Che cosa sono le dipendenze comportamentali?

Le dipendenze comportamentali, a differenza delle dipendenze da sostanze, non derivano da un consumo di prodotti come alcol o droghe, ma da comportamenti che si trasformano in abitudini compulsive. Si tratta di dipendenze che coinvolgono attività apparentemente innocue o quotidiane, come il gioco d’azzardo, il gaming, lo shopping online e l’uso dei social media. Quando una persona sviluppa una dipendenza comportamentale, la sua necessità di ripetere quell’attività diventa irrefrenabile, e la persona non riesce a ridurla o a controllarla, anche quando questa inizia a compromettere la sua vita quotidiana e i suoi rapporti.

A livello scientifico, queste dipendenze sono spesso paragonate a quelle da sostanze per via del loro effetto simile sul cervello: coinvolgono il sistema di ricompensa e gratificazione, portando la persona a provare una sorta di “picco di piacere” ogni volta che ripete l’attività. Col tempo, questo schema si consolida e il bisogno di ripetere il comportamento diventa sempre più difficile da gestire.

Segnali e sintomi di una dipendenza comportamentale

Proprio come nelle dipendenze da sostanze, le dipendenze comportamentali presentano segnali che possono allertare chi ne soffre o chi gli è vicino. Alcuni dei sintomi più comuni includono:

  • Ossessione per l’attività: il comportamento diventa il pensiero principale della persona, che dedica tempo ed energia a pensare a quando potrà ripeterlo.
  • Modifica dell’umore: l’attività porta temporaneamente un senso di piacere, rilassamento o fuga dai problemi quotidiani, diventando un rifugio emotivo.
  • Problemi relazionali e sociali: la persona trascura amici, famiglia o altre attività importanti per dare priorità alla sua dipendenza, spesso causando tensioni o conflitti.
  • Astinenza e irritabilità: quando prova a ridurre o interrompere l’attività, la persona può manifestare segni di malessere, ansia o irritabilità.

Gli indicatori principali della dipendenza comportamentale

Secondo i ricercatori, ci sono alcuni criteri per identificare una dipendenza comportamentale. Questi criteri aiutano a distinguere un semplice piacere da una vera e propria dipendenza:

  • Focalizzazione: l’attività diventa la priorità principale nella vita della persona, al punto da oscurare altre occupazioni o interessi.
  • Modifica dell’umore: l’attività influisce sullo stato d’animo, fungendo da valvola di sfogo o soluzione momentanea per problemi emotivi.
  • Tolleranza: la persona ha bisogno di aumentare la frequenza o l’intensità dell’attività per provare lo stesso grado di piacere o soddisfazione.
  • Sintomi di astinenza: il tentativo di ridurre l’attività provoca disagio o irritabilità.
  • Conflitto: nascono tensioni o problemi con familiari, amici o colleghi a causa del tempo e dell’energia dedicati alla dipendenza.
  • Ricaduta: nonostante gli sforzi per interrompere o ridurre l’attività, la persona torna a praticarla, spesso con un senso di perdita di controllo.

Perché sviluppiamo dipendenze comportamentali?

La dipendenza comportamentale si sviluppa spesso come risposta a stress, noia, ansia o situazioni difficili. Attività come il gioco d’azzardo o l’uso dei social media possono sembrare un modo semplice e immediato per evadere dalla realtà o per sentirsi appagati, ma questo sollievo è solo temporaneo. Con il tempo, il comportamento da piacevole diventa compulsivo e sfugge al controllo, spingendo la persona a ripetere l’attività nonostante i danni che essa provoca.

Prevenzione e trattamento delle dipendenze comportamentali

Exodus propone alcuni percorsi per affrontare questo problema: consulenza educativa, psicoterapia, centro diurno semiresidenziale. Percorsi che possono aiutare le persone a sostituire l’attività compulsiva con comportamenti più sani e soddisfacenti.

La prevenzione gioca un ruolo fondamentale, soprattutto tra i giovani, che sono più vulnerabili a sviluppare abitudini malsane legate a social media, gaming o shopping online. Educare alla gestione del tempo, al riconoscimento dei sintomi di dipendenza e all’importanza di mantenere un equilibrio nelle attività quotidiane può essere di grande aiuto per ridurre il rischio di sviluppare dipendenze.

Conclusione

Le dipendenze comportamentali sono una realtà complessa e diffusa, che può influire seriamente sulla qualità della vita. Anche se si tratta di attività apparentemente innocue, quando diventano ossessioni finiscono per interferire con la salute mentale e fisica, minando il benessere dell’individuo e delle sue relazioni. Riconoscere i segnali e agire tempestivamente è essenziale per evitare che l’abitudine si trasformi in un problema cronico. Con un intervento appropriato e il supporto di professionisti, è possibile superare le dipendenze comportamentali e ripristinare l’equilibrio.

Adolescenti e nuove dipendenze

Adolescenti e nuove dipendenze

Intervista di Katia Valente | Dipendenze da mondo virtuale, da quell’universo nel quale i ragazzi si rifugiano, allettante e modaiolo, ma che in realtà li sbanda, li devia, li porta sulle strade del- l’apparenza e della teatralità a tutti costi, ma anche lungo i sentieri delle droghe facili con una naturalezza disarmante.
Dipendenze accanto a quelle già conosciute e un mondo degli adulti che, spesso, resta alla finestra. Ma, anche e per fortuna, luoghi come la Casa di Willy a San Bartolomeo o il neonato Centro diurno di Exodus intitolato a don Lorenzo Milani come possibilità di accoglienza degli adolescenti e di rilancio autentico nella “vita reale”. Luigi Maccaro, responsabile della Fondazione Exodus di Cassino e già assessore comunale ai Servizi Sociali scatta una fotografia di questa nuova generazione e lancia un appello al presidente della Regione Rocca per costruire collaborazioni con Comuni e Terzo settore. Anche perché Centri giovanili e interventi educativi di strada, sono esattamente le risposte che servono.

Nuove dipendenze che si diffondono a macchia d’olio, la più insidiosa è quella da tecnologia? Com’è la situazione?

«Assolutamente sì, la tecnologia è una dipendenza insidiosa, ma non è solo questo: oggi per i ragazzi è uno scudo e allo stesso tempo una gabbia. La chiamano la “generazione ansia” e non è un caso. Vivono in un mondo dove ogni cosa è monitorata, dove si aspettano da loro risultati eccellenti, e dove il confronto è continuo. La tecnologia diventa un rifugio, ma alla fine si trasforma in una prigione, perché invece di permettere ai ragazzi di evadere, li espone ancora di più a questo controllo e confronto costante. E se non trovano modi per uscire da questa rete, il rischio è che il loro malessere cresca e diventi sempre più difficile da gestire».

Quale divario tra la realtà e l’online per i ragazzi? Quale la loro percezione?

«Molti ragazzi vivono questo distacco tra la vita online e quella reale come un peso. Online, sembra che tutti siano migliori, più felici, sempre al top, e loro si sentono obbligati a essere all’altezza, come se fosse una recita continua. È una pressione che li spinge a idealizzare il mondo digitale, mentre nel mondo reale non riescono mai a sentirsi abbastanza. Ecco perché tanti ragazzi si sentono bloccati, frustrati, senza strumenti per difendersi da questo confronto incessante. Lontano dagli schermi però c’è una libertà che dobbiamo aiutarli a ritrovare: il piacere di fare esperienze vere, con persone vere, senza preoccuparsi di essere perfetti o di piacere per forza».

Di cosa avrebbero bisogno nella più delicata delle fasi della crescita, l’adolescenza?

«In adolescenza, i ragazzi avrebbero un bisogno semplice ma fondamentale: essere lasciati liberi di sbagliare e scoprire chi sono senza sentirsi sotto esame.
Devono poter sperimentare, magari anche trasgredire, per imparare a cavarsela. Ma spesso noi adulti li controlliamo così tanto, e con aspettative così elevate, che rischiano di spegnersi. Anziché imparare dai propri errori, si sentono sempre in dovere di fare la cosa giusta e diventano quasi paralizzati dall’ansia di deludere. Credo che dobbiamo imparare a fare un passo indietro e fidarci di loro, lasciando che scoprano la propria strada. È così che cresceranno davvero, sviluppando una forza che sarà loro per tutta la vita».

La diffusione della droga corre anche online? Ci sono ramificazioni anche attraverso l’uso di uno smartphone?

«Purtroppo sì, e questo è allarmante. Oggi il web e i social sono diventati dei veri canali per il mercato delle droghe, accessibili in modo impressionante. Attraverso chat e social, i ragazzi possono trovare tutto, anche sostanze, con pochi clic, senza nemmeno uscire di casa.
Non solo: ci sono gruppi che normalizzano l’uso delle droghe, facendo sembrare che “provare” sia una parte quasi obbligata della crescita, come se fosse una tappa normale. È una realtà molto preoccupante, perché rende tutto fin troppo accessibile e facile, abbassando quei freni che potrebbero scoraggiarli. Combattere questa situazione significa prima di tutto riconoscere il problema: servono più monitoraggio, sensibilizzazione, e anche un impegno concreto delle piattaforme online per arginare questi rischi. Non possiamo ignorare quanto sia importante aiutare i ragazzi a sviluppare spirito critico e autocontrollo, perché la tecnologia non diventi una strada diretta verso pericoli reali».

Quali luoghi per prevenire e quali rimedi per “curare”?

«La prevenzione e il supporto concreto devono partire dai luoghi dove i ragazzi vivono ogni giorno, ma per farlo occorrono risorse e strutture accessibili in ogni area. È per questo che rivolgo un appello alla Regione Lazio e al Presidente Francesco Rocca, che so essere molto sensibile a questi temi, affinché possiamo lavorare insieme per portare fondi necessari sui territori, così da promuovere la nascita di centri di aggregazione giovanile. A Cassino, ad esempio, abbiamo aperto la Casa di Willy a San Bartolomeo grazie alle risorse comunali: un luogo di riferimento, sicuro e accessibile, dove i giovani trovano ascolto e attività per crescere in modo sano. Ma c’è ancora molto da fare. È altrettanto importante promuovere interventi educativi di strada, soprattutto nei luoghi della movida e del tempo libero, perché a volte sono proprio i ragazzi più a rischio quelli che tendono a sfuggire ai contesti più controllati.
Per raggiungerli, è fondamentale andare direttamente nei loro spazi abituali, instaurando un dialogo sincero e senza pregiudizi. Abbiamo la responsabilità di avvicinarci a loro, per offrire supporto, ascolto e strumenti per affrontare le difficoltà che incontrano, evitando che si sentano soli o isolati».