Cattolici e politica, dopo Milano.

Cattolici e politica, dopo Milano.

L’ex senatore Lino Diana ha raccolto e rilanciato in termini di impegno le inquietudini espresse dalla componente cattolico democratica del Pd, riunita a Milano da Pier Lugi Castagnetti e Graziano Del Rio alla presenza anche di Romano Prodi. L’ex parlamentare di Boville Ernica in particolare, nell’intervista rilasciata a Frosinone News – LEGGI QUI, ha indicato in Demos la componente che può rappresentare l’intera area, a patto che il partito guidato nel Lazio da Paolo Ciani confluisca nel Pd, pur conservando una chiara visibilità. Abbiamo chiesto l’opinione sull’ipotesi di “fusione” a Lugi Maccaro, coordinatore provinciale di Demos Frosinone.

“Il rapporto fra Demos e Partito Democratico – ha risposto – è di piena collaborazione nell’ambito della coalizione di centrosinistra. Ma oggi, con la polarizzazione portata al massimo, è evidente che il cattolicesimo democratico e il cristianesimo sociale hanno bisogno di margini d’azione, spazi di rappresentanza, possibilità di incidere concretamente. Questo spiega il fermento partito a Trieste nella Settimana sociale, passato per l’incontro di Milano e destinato a ritrovarsi a Roma quanto prima. Quindi accogliamo volentieri l’invito del Sen. Lino Diana ad essere “lievito” per allargare il perimetro di rappresentanza culturale e politica ma ciò che conta in questo momento è camminare insieme, confrontarsi, costruire soluzioni condivise per dare risposte alle persone, alle famiglie, alle imprese. Lino è il più autorevole rappresentante del cattolicesimo democratico, non solo della nostra Provincia, e per questo è un punto di riferimento per tutti noi a prescindere dal partito in cui militiamo”.

Il confronto continuo tra Paolo Ciani e Graziano Del Rio

  • Quindi Demos non intende confluire e fondersi?

“L’interlocuzione tra Paolo Ciani e Graziano Delrio non è affatto recente. È la dimostrazione che fra cattolici democratici ci si parla da sempre. Ora però da più parti si avverte il bisogno anche di organizzarsi. Che non significa fare partiti o correnti. Significa trovare il modo per coordinare azioni capaci di dare risposte concrete ai bisogni delle persone, significa restituire speranza a quelli che non vanno più a votare perché non si sentono né di destra né di sinistra e che non trovano risposte alle loro preoccupazioni. La partecipazione alla vita democratica del Paese è il presupposto indispensabile per il progresso altrimenti tutto resta sempre più nelle mani dei soliti pochi noti. La democrazia si salva con la partecipazione. Ora è inutile che ci si continui a dividere sui temi etici: le famiglie vogliono sentir parlare della famiglia punto. Non importa di che tipo di famiglia si tratti, la famiglia è la famiglia. E come dice la Costituzione è la cellula fondamentale della società e va sostenuta innanzitutto con il lavoro, con l’istruzione e con l’assistenza sociale e sanitaria. Come ha detto Paolo Ciani a Milano, siamo stanchi di essere considerati di sinistra quando parliamo di pace e di immigrazione e moderati o di destra quando parliamo di eutanasia e gestazione per altri. Siamo le stesse persone e il tempo della prepolitica è finito, ora vogliamo partecipare attivamente e fare la nostra parte a tutti i livelli”.

  • Quale l’apporto con cui intendete arricchire la linea d’azione dei dem?
don Antonio Mazzi ed Ernesto Maria Ruffini

“Purtroppo la narrativa degli ultimi anni è stata presidiata dai populisti di destra e di sinistra. I temi più rilanciati anche dalla stampa, dobbiamo dircelo, sono quelli più divisivi: fare un titolo sugli immigrati, sulla cultura gender o sulla legalizzazione delle droghe in questi anni è stato fin troppo facile. Più faticoso invece parlare di famiglia, di lavoro, di istruzione. Se vogliamo avere un’idea di come sarà l’Italia, e pure la nostra provincia, dobbiamo guardare a che cosa sono oggi la scuola e l’università. E’ lì dentro che si costruiscono veramente le cose nuove che vivranno i nostri figli. Ma è l’ultima cosa che interessa chi sta al Governo. E pure la politica estera è scambiata per un luogo dove fare tifoseria anziché costruire destini comuni. Altrimenti non ci sarebbero tante guerre in corso. Noi abbiamo chiarissimo il pericolo dei nazionalismi e dei sovranismi e siamo impegnati ogni giorno per la pace e la giustizia sociale. Siamo tanti e siamo in tutte le forze politiche: la scommessa di questo tempo è quella di connettersi e lavorare insieme. Serve coraggio per vivere questo tempo presente. Proprio perché è difficile non possiamo girarci dall’altra parte”.

La strada da seguire segnata dalla Dottrina sociale della Chiesa

  • Perché c’è bisogno dei cattolici in politica, in ultima analisi?

“Ad ascoltare l’intervento di Trump al suo insediamento alla Casa Bianca sembra che nella società odierna non ci sia più spazio per l’amicizia tra i popoli, per la solidarietà verso gli ultimi, per il dialogo costruttivo anche fra parti opposte. E visto che questo sembra essere il vento che soffia dovunque nel mondo, c’è bisogno di riaffermare la cultura del noi, il progresso orientato a sostenere i più fragili, l’attenzione soprattutto alla classe media che non arriva a fine mese. Soprattutto il tema della speranza, della fiducia nel futuro che vede nella denatalità uno degli effetti più preoccupanti. E quindi – come ha detto l’altro ieri il cardinale Zuppi – c’è bisogno che i cristiani, guidati dai principi della Dottrina sociale della Chiesa, partecipino con passione e responsabilità al dibattito pubblico e contribuiscano alla costruzione del bene comune. E’ tutto qui il senso del nostro impegno in politica. Attraverso azioni concrete per promuovere solidarietà e giustizia sociale”.

 

Stellantis: serve un piano sociale

Stellantis: serve un piano sociale

La crisi dello stabilimento Stellantis non è solo un dramma economico, ma una ferita profonda per il tessuto sociale del nostro territorio. A rischio non ci sono soltanto i posti di lavoro degli operai diretti, ma anche quelli di chi lavora nell’indotto e di chi, in modo indiretto, dipende da un’economia locale che potrebbe subire un contraccolpo devastante.

In questi giorni le immagini delle proteste e degli scioperi parlano di tensioni che rischiano di esplodere. Si stanno organizzando tavoli per provare a salvaguardare i posti di lavoro, e su questo l’impegno delle istituzioni e delle parti sociali sarà fondamentale. Ma c’è una domanda che dobbiamo porci: cosa succederà alle famiglie che, nonostante gli sforzi, perderanno comunque il loro reddito? Possiamo immaginarlo e dobbiamo prepararci, principalmente come Istituzioni ma in un processo capace di coinvolgere tutta la comunità del territorio, così come abbiamo imparato a fare fronteggiando l’emergenza Covid.

Un’emergenza sociale da non sottovalutare

Come chi ha vissuto l’esperienza amministrativa durante l’emergenza Covid sa bene, affrontare crisi di questa portata non significa limitarsi a gestire l’oggi, ma significa anche pianificare per il domani. Quella che abbiamo davanti potrebbe rivelarsi un’emergenza ancora più lunga e complessa, con centinaia di famiglie costrette a rivedere radicalmente le proprie vite. Ci sono misure che sarebbe opportuno mettere in campo prima che la situazione peggiori ulteriormente. Ad esempio, si potrebbe pensare a un coordinamento tra Comuni, distretti sociali, Provincia, Regione e tutte le realtà che operano nel terzo settore. Un tavolo dedicato alle conseguenze sociali della crisi potrebbe essere lo strumento per gestire i bisogni più immediati, come il sostegno alimentare o il pagamento delle utenze, ma anche per progettare interventi di più ampio respiro, come percorsi di formazione e reinserimento lavorativo.

Non solo un problema economico

A confermarlo è anche l’Agenzia Europea delle Droghe (EUDA), che lo scorso settembre ha pubblicato uno studio sull’impatto delle recessioni economiche sull’uso di droghe illecite. Il rapporto evidenzia come crisi economiche prolungate possano aggravare il consumo di sostanze, colpendo in modo particolare i giovani e i gruppi socialmente vulnerabili.

Un appello alla prevenzione

Sicuramente la politica è ancora in tempo per evitare che la chiusura dello stabilimento Stellantis diventi una crisi irreversibile per Cassino e per la provincia di Frosinone. Vedremo se stavolta la nostra classe dirigente si dimostrerà all’altezza dei grandi problemi di questo nostro tempo. E’ qui che si capisce la differenza tra quanto può essere facile vincere le elezioni e quanto poi è difficile governare e dare risposte concrete ai cittadini. Nel frattempo come comunità, abbiamo già dimostrato durante altre emergenze la nostra capacità di unirci e di trovare soluzioni. Ora è il momento di pensare non solo a salvare ciò che possiamo salvare, ma anche a proteggere chi rischia di rimanere indietro.

La necessità di un approccio integrato

Al di là dei tavoli di confronto per la salvaguardia dei posti di lavoro, già ben presidiati dalle organizzazioni sindacali, penso sia necessario attivare anche un piano d’azione che coinvolga le istituzioni e le realtà locali:
    • Comuni e distretti sociali: per monitorare le esigenze delle famiglie e coordinare gli interventi di assistenza.
    • Provincia e Regione: per allocare risorse straordinarie e implementare politiche attive del lavoro.
    • Terzo settore e sindacati: per offrire supporto psicologico, formazione professionale e orientamento al reinserimento lavorativo.
Si pensi ad esempio alla possibilità di istituire un fondo regionale di emergenza destinato a sostenere le famiglie colpite dalla crisi. Coprendo spese essenziali come mutui, affitti e utenze.

Potenziare i servizi sociali

O al potenziamento dei servizi sociali per offrire assistenza immediata, consulenza legale e supporto nella ricerca di nuove opportunità lavorative in collaborazione con enti di formazione e aziende, per facilitare il reinserimento nel mercato del lavoro. La crisi dello stabilimento Stellantis rappresenta una sfida senza precedenti per la nostra comunità. Ma non è solo una questione di numeri o di politica industriale: si tratta di difendere la dignità delle persone e il futuro delle famiglie. Questo richiede che tutti, dalle istituzioni alle organizzazioni sociali, passando per le imprese, facciano la loro parte. Aspettare rischia di significare trovarsi troppo tardi davanti a un’emergenza ormai ingestibile.
Giovani: impariamo ad ascoltarli

Giovani: impariamo ad ascoltarli

Oggi, nella Giornata per i diritti dei bambini e degli adolescenti, voglio parlarvi di un tema che mi sta a cuore: il modo in cui raccontiamo i giovani e le famiglie. Troppo spesso, quando si parla di ragazzi, il discorso si concentra sul disagio: li dipingiamo come fragili, problematici, in crisi. Dall’altra parte, i genitori finiscono sotto accusa, considerati incapaci di relazionarsi con i propri figli. È una narrazione che non funziona, e soprattutto non aiuta. Oggi più che mai, dobbiamo andare oltre.

Giovani: non una crisi, ma una risorsa

Sì, è vero, i dati mostrano delle criticità. Il 14% dei minori vive in condizioni di povertà assoluta, quasi uno studente su dieci conclude la scuola senza avere competenze di base adeguate, tanti ragazzi faticano a vedere regolarmente gli amici o vivono episodi di isolamento sociale​. Ma fermarsi a questi numeri significa dare un’immagine incompleta e ingiusta delle nuove generazioni.

I giovani non sono un problema, e nemmeno una “categoria fragile” da proteggere a tutti i costi. Sono invece una risorsa straordinaria. Nonostante le difficoltà, oltre il 60% degli adolescenti tra i 14 e i 19 anni dichiara di guardare al futuro con fiducia​. Cresce il loro impegno in attività di volontariato e movimenti per il cambiamento climatico. Questi ragazzi hanno una forza e una capacità di visione che dobbiamo riconoscere e valorizzare, non etichettare come “emergenza”.

E i genitori? Anche loro sono parte della soluzione

I genitori, a loro volta, finiscono spesso nel mirino. Uno studio recente ci dice che quasi la metà degli adulti sente di non riuscire a comunicare con i propri figli​. È facile, troppo facile, trasformare questo dato in un giudizio: “i genitori non sanno fare il loro lavoro”. Ma questa lettura è ingiusta e controproducente.

Dietro queste difficoltà, spesso, ci sono fattori esterni: il lavoro che lascia poco tempo, la pressione sociale, l’incertezza economica. I genitori non sono incapaci; sono persone che, come tutti, hanno bisogno di essere ascoltate e supportate. Non si tratta di fornire manuali d’istruzioni, ma di creare le condizioni perché le famiglie possano sentirsi parte di una rete di supporto, capaci di affrontare le sfide insieme ai propri figli.

Un cambiamento possibile, ma solo insieme

La verità è che non ci sono scorciatoie. Se vogliamo migliorare la condizione dei ragazzi e delle famiglie, dobbiamo lavorare insieme. Le scuole, le istituzioni, le associazioni, le famiglie stesse: tutti devono sentirsi coinvolti. Non si tratta di interventi miracolosi, ma di piccoli passi concreti.

Ad esempio, dobbiamo ricostruire spazi di dialogo, dove giovani e adulti possano parlarsi davvero. Troppo spesso, il problema non è la mancanza di soluzioni, ma la mancanza di ascolto. Impariamo a guardare i ragazzi negli occhi, a sentire le loro storie, a prenderli sul serio. E allo stesso modo, impariamo a riconoscere il valore dei genitori, a dar loro fiducia e strumenti per sentirsi protagonisti nel loro ruolo educativo.

Superare l’allarme per costruire responsabilità

Per fare questo, dobbiamo cambiare il modo in cui raccontiamo il disagio. Il disagio non è un’etichetta, non è una condizione definitiva. È una sfida, e come tutte le sfide può essere affrontata, se lavoriamo insieme.

Dobbiamo superare la logica degli allarmi. Le famiglie non sono “in crisi”, i ragazzi non sono “persi”. Sono parte di una società che ha bisogno di riconoscere i propri punti di forza per crescere. È qui che entra in gioco la responsabilità condivisa: smettere di cercare colpevoli e iniziare a costruire soluzioni.

Un futuro che parte dall’ascolto

La Giornata per i diritti dei bambini e degli adolescenti è il momento giusto per ricordarci che i giovani non sono numeri, né problemi da risolvere. Sono persone, con storie, sogni e potenzialità. E i genitori, come loro, non sono spettatori inermi, ma protagonisti di una comunità che può crescere solo insieme.

Guardiamo al futuro con fiducia. Non servono proclami, ma piccoli gesti concreti: ascoltare, dialogare, agire insieme. Perché non siamo emergenza. Siamo una società che ha tutto quello che serve per crescere e migliorare. Basta iniziare a crederci davvero.

La sfida educativa nelle periferie

La sfida educativa nelle periferie

Ho avuto l’opportunità di partecipare alla visita della Commissione Parlamentare sulle Periferie, invitato dall’On.le Paolo Ciani. Un’occasione importante, che ha portato i parlamentari a toccare con mano la realtà di due dei quartieri più complessi di Cassino, il Colosseo e San Bartolomeo. La visita si è conclusa proprio a San Bartolomeo, all’interno della Casa di Willy, uno spazio nato come simbolo di riscatto e attenzione al benessere delle persone, specialmente dei giovani.

Un esempio di rigenerazione sociale

La Casa di Willy è molto più di un centro educativo. Rappresenta l’impegno di un’amministrazione che ha voluto investire non solo in opere pubbliche e manutenzione, ma soprattutto nel tessuto sociale del quartiere. È un luogo di aggregazione sana ed educativa, pensato per dare ai ragazzi un’alternativa alla strada, un posto dove sentirsi accolti e supportati. Durante l’incontro, ho sottolineato ai parlamentari che questo tipo di iniziative non può restare un’eccezione. Ogni Comune dovrebbe avere a disposizione fondi per creare spazi di aggregazione, capaci di intercettare i giovani, soprattutto quelli più vulnerabili, anche attraverso interventi educativi di strada.

Investire sui giovani

Troppo spesso, infatti, le risorse pubbliche vengono destinate quasi esclusivamente alla manutenzione stradale o alle opere pubbliche, lasciando scoperti ambiti fondamentali come quello educativo. Non è possibile – ho detto ai parlamentari presenti – che si spendano milioni di euro per rifare le strade e poi non ci sia un centesimo per la protezione educativa dei ragazzi dei nostri quartieri. Questo è lo spirito con cui abbiamo voluto aprire il centro educativo a San Bartolomeo, e ci sarebbe bisogno di un’iniziativa simile anche al Colosseo, a Caira, a Sant’Angelo, a San Michele, e in tutti i quartieri di Cassino. È una necessità che le parrocchie, un tempo fulcro della vita sociale e della crescita educativa attraverso gli oratori, non riescono più a soddisfare per diversi motivi. Oggi è lo Stato, tramite i Comuni, che deve farsi carico di questa responsabilità.

Il ruolo delle istituzioni nella prevenzione

I fatti di cronaca che quotidianamente coinvolgono i giovani, tra reati violenti, episodi di bullismo, e altre forme di disagio, testimoniano che l’emergenza educativa è sempre più importante. Le istituzioni non possono più girarsi dall’altra parte o limitarsi a dare la colpa alle famiglie. Servono interventi strutturali e risorse per rispondere a queste sfide. La Casa di Willy è un esempio di buona pratica da replicare: non solo un centro, ma un progetto che coinvolge anche le realtà del terzo settore, una ricchezza inestimabile per i quartieri che può fare la differenza nella vita di molti ragazzi.

Servono impegni concreti e risorse certe

Viviamo in un’epoca in cui molti ragazzi sono soli di fronte a un mondo che si muove troppo in fretta, in cui la connessione è facile, ma i legami profondi sono rari. Sono figli di un tempo che non offre più certezze, che a volte sembra chiedere loro di crescere in un ambiente dove la violenza e il disorientamento sono all’ordine del giorno. In questa realtà, gli adulti – istituzioni, famiglie, comunità – hanno il dovere di tendere una mano, di creare spazi sicuri, di farsi garanti di una presenza che non giudica, ma guida.

Se non ci impegniamo ora a costruire luoghi come la Casa di Willy, a investire risorse nell’educazione e nella protezione dei nostri ragazzi, rischiamo di lasciare una generazione senza bussola, in balia di scelte difficili e spesso autodistruttive. La vera sfida per le periferie, e per tutti noi, è costruire insieme un futuro che non abbandoni i nostri giovani, ma li accompagni, con la pazienza e la cura che meritano.

Quando l’abitudine diventa compulsione

Quando l’abitudine diventa compulsione

Che cosa sono le dipendenze comportamentali?

Le dipendenze comportamentali, a differenza delle dipendenze da sostanze, non derivano da un consumo di prodotti come alcol o droghe, ma da comportamenti che si trasformano in abitudini compulsive. Si tratta di dipendenze che coinvolgono attività apparentemente innocue o quotidiane, come il gioco d’azzardo, il gaming, lo shopping online e l’uso dei social media. Quando una persona sviluppa una dipendenza comportamentale, la sua necessità di ripetere quell’attività diventa irrefrenabile, e la persona non riesce a ridurla o a controllarla, anche quando questa inizia a compromettere la sua vita quotidiana e i suoi rapporti.

A livello scientifico, queste dipendenze sono spesso paragonate a quelle da sostanze per via del loro effetto simile sul cervello: coinvolgono il sistema di ricompensa e gratificazione, portando la persona a provare una sorta di “picco di piacere” ogni volta che ripete l’attività. Col tempo, questo schema si consolida e il bisogno di ripetere il comportamento diventa sempre più difficile da gestire.

Segnali e sintomi di una dipendenza comportamentale

Proprio come nelle dipendenze da sostanze, le dipendenze comportamentali presentano segnali che possono allertare chi ne soffre o chi gli è vicino. Alcuni dei sintomi più comuni includono:

  • Ossessione per l’attività: il comportamento diventa il pensiero principale della persona, che dedica tempo ed energia a pensare a quando potrà ripeterlo.
  • Modifica dell’umore: l’attività porta temporaneamente un senso di piacere, rilassamento o fuga dai problemi quotidiani, diventando un rifugio emotivo.
  • Problemi relazionali e sociali: la persona trascura amici, famiglia o altre attività importanti per dare priorità alla sua dipendenza, spesso causando tensioni o conflitti.
  • Astinenza e irritabilità: quando prova a ridurre o interrompere l’attività, la persona può manifestare segni di malessere, ansia o irritabilità.

Gli indicatori principali della dipendenza comportamentale

Secondo i ricercatori, ci sono alcuni criteri per identificare una dipendenza comportamentale. Questi criteri aiutano a distinguere un semplice piacere da una vera e propria dipendenza:

  • Focalizzazione: l’attività diventa la priorità principale nella vita della persona, al punto da oscurare altre occupazioni o interessi.
  • Modifica dell’umore: l’attività influisce sullo stato d’animo, fungendo da valvola di sfogo o soluzione momentanea per problemi emotivi.
  • Tolleranza: la persona ha bisogno di aumentare la frequenza o l’intensità dell’attività per provare lo stesso grado di piacere o soddisfazione.
  • Sintomi di astinenza: il tentativo di ridurre l’attività provoca disagio o irritabilità.
  • Conflitto: nascono tensioni o problemi con familiari, amici o colleghi a causa del tempo e dell’energia dedicati alla dipendenza.
  • Ricaduta: nonostante gli sforzi per interrompere o ridurre l’attività, la persona torna a praticarla, spesso con un senso di perdita di controllo.

Perché sviluppiamo dipendenze comportamentali?

La dipendenza comportamentale si sviluppa spesso come risposta a stress, noia, ansia o situazioni difficili. Attività come il gioco d’azzardo o l’uso dei social media possono sembrare un modo semplice e immediato per evadere dalla realtà o per sentirsi appagati, ma questo sollievo è solo temporaneo. Con il tempo, il comportamento da piacevole diventa compulsivo e sfugge al controllo, spingendo la persona a ripetere l’attività nonostante i danni che essa provoca.

Prevenzione e trattamento delle dipendenze comportamentali

Exodus propone alcuni percorsi per affrontare questo problema: consulenza educativa, psicoterapia, centro diurno semiresidenziale. Percorsi che possono aiutare le persone a sostituire l’attività compulsiva con comportamenti più sani e soddisfacenti.

La prevenzione gioca un ruolo fondamentale, soprattutto tra i giovani, che sono più vulnerabili a sviluppare abitudini malsane legate a social media, gaming o shopping online. Educare alla gestione del tempo, al riconoscimento dei sintomi di dipendenza e all’importanza di mantenere un equilibrio nelle attività quotidiane può essere di grande aiuto per ridurre il rischio di sviluppare dipendenze.

Conclusione

Le dipendenze comportamentali sono una realtà complessa e diffusa, che può influire seriamente sulla qualità della vita. Anche se si tratta di attività apparentemente innocue, quando diventano ossessioni finiscono per interferire con la salute mentale e fisica, minando il benessere dell’individuo e delle sue relazioni. Riconoscere i segnali e agire tempestivamente è essenziale per evitare che l’abitudine si trasformi in un problema cronico. Con un intervento appropriato e il supporto di professionisti, è possibile superare le dipendenze comportamentali e ripristinare l’equilibrio.

Adolescenti e nuove dipendenze

Adolescenti e nuove dipendenze

Intervista di Katia Valente | Dipendenze da mondo virtuale, da quell’universo nel quale i ragazzi si rifugiano, allettante e modaiolo, ma che in realtà li sbanda, li devia, li porta sulle strade del- l’apparenza e della teatralità a tutti costi, ma anche lungo i sentieri delle droghe facili con una naturalezza disarmante.
Dipendenze accanto a quelle già conosciute e un mondo degli adulti che, spesso, resta alla finestra. Ma, anche e per fortuna, luoghi come la Casa di Willy a San Bartolomeo o il neonato Centro diurno di Exodus intitolato a don Lorenzo Milani come possibilità di accoglienza degli adolescenti e di rilancio autentico nella “vita reale”. Luigi Maccaro, responsabile della Fondazione Exodus di Cassino e già assessore comunale ai Servizi Sociali scatta una fotografia di questa nuova generazione e lancia un appello al presidente della Regione Rocca per costruire collaborazioni con Comuni e Terzo settore. Anche perché Centri giovanili e interventi educativi di strada, sono esattamente le risposte che servono.

Nuove dipendenze che si diffondono a macchia d’olio, la più insidiosa è quella da tecnologia? Com’è la situazione?

«Assolutamente sì, la tecnologia è una dipendenza insidiosa, ma non è solo questo: oggi per i ragazzi è uno scudo e allo stesso tempo una gabbia. La chiamano la “generazione ansia” e non è un caso. Vivono in un mondo dove ogni cosa è monitorata, dove si aspettano da loro risultati eccellenti, e dove il confronto è continuo. La tecnologia diventa un rifugio, ma alla fine si trasforma in una prigione, perché invece di permettere ai ragazzi di evadere, li espone ancora di più a questo controllo e confronto costante. E se non trovano modi per uscire da questa rete, il rischio è che il loro malessere cresca e diventi sempre più difficile da gestire».

Quale divario tra la realtà e l’online per i ragazzi? Quale la loro percezione?

«Molti ragazzi vivono questo distacco tra la vita online e quella reale come un peso. Online, sembra che tutti siano migliori, più felici, sempre al top, e loro si sentono obbligati a essere all’altezza, come se fosse una recita continua. È una pressione che li spinge a idealizzare il mondo digitale, mentre nel mondo reale non riescono mai a sentirsi abbastanza. Ecco perché tanti ragazzi si sentono bloccati, frustrati, senza strumenti per difendersi da questo confronto incessante. Lontano dagli schermi però c’è una libertà che dobbiamo aiutarli a ritrovare: il piacere di fare esperienze vere, con persone vere, senza preoccuparsi di essere perfetti o di piacere per forza».

Di cosa avrebbero bisogno nella più delicata delle fasi della crescita, l’adolescenza?

«In adolescenza, i ragazzi avrebbero un bisogno semplice ma fondamentale: essere lasciati liberi di sbagliare e scoprire chi sono senza sentirsi sotto esame.
Devono poter sperimentare, magari anche trasgredire, per imparare a cavarsela. Ma spesso noi adulti li controlliamo così tanto, e con aspettative così elevate, che rischiano di spegnersi. Anziché imparare dai propri errori, si sentono sempre in dovere di fare la cosa giusta e diventano quasi paralizzati dall’ansia di deludere. Credo che dobbiamo imparare a fare un passo indietro e fidarci di loro, lasciando che scoprano la propria strada. È così che cresceranno davvero, sviluppando una forza che sarà loro per tutta la vita».

La diffusione della droga corre anche online? Ci sono ramificazioni anche attraverso l’uso di uno smartphone?

«Purtroppo sì, e questo è allarmante. Oggi il web e i social sono diventati dei veri canali per il mercato delle droghe, accessibili in modo impressionante. Attraverso chat e social, i ragazzi possono trovare tutto, anche sostanze, con pochi clic, senza nemmeno uscire di casa.
Non solo: ci sono gruppi che normalizzano l’uso delle droghe, facendo sembrare che “provare” sia una parte quasi obbligata della crescita, come se fosse una tappa normale. È una realtà molto preoccupante, perché rende tutto fin troppo accessibile e facile, abbassando quei freni che potrebbero scoraggiarli. Combattere questa situazione significa prima di tutto riconoscere il problema: servono più monitoraggio, sensibilizzazione, e anche un impegno concreto delle piattaforme online per arginare questi rischi. Non possiamo ignorare quanto sia importante aiutare i ragazzi a sviluppare spirito critico e autocontrollo, perché la tecnologia non diventi una strada diretta verso pericoli reali».

Quali luoghi per prevenire e quali rimedi per “curare”?

«La prevenzione e il supporto concreto devono partire dai luoghi dove i ragazzi vivono ogni giorno, ma per farlo occorrono risorse e strutture accessibili in ogni area. È per questo che rivolgo un appello alla Regione Lazio e al Presidente Francesco Rocca, che so essere molto sensibile a questi temi, affinché possiamo lavorare insieme per portare fondi necessari sui territori, così da promuovere la nascita di centri di aggregazione giovanile. A Cassino, ad esempio, abbiamo aperto la Casa di Willy a San Bartolomeo grazie alle risorse comunali: un luogo di riferimento, sicuro e accessibile, dove i giovani trovano ascolto e attività per crescere in modo sano. Ma c’è ancora molto da fare. È altrettanto importante promuovere interventi educativi di strada, soprattutto nei luoghi della movida e del tempo libero, perché a volte sono proprio i ragazzi più a rischio quelli che tendono a sfuggire ai contesti più controllati.
Per raggiungerli, è fondamentale andare direttamente nei loro spazi abituali, instaurando un dialogo sincero e senza pregiudizi. Abbiamo la responsabilità di avvicinarci a loro, per offrire supporto, ascolto e strumenti per affrontare le difficoltà che incontrano, evitando che si sentano soli o isolati».

Una giornata di memoria, impegno e speranza

Una giornata di memoria, impegno e speranza

Oggi è stata una giornata ricca di emozioni e significato, dedicata alla memoria di Willy Monteiro Duarte, un ragazzo il cui sacrificio continua a rappresentare un simbolo di giustizia e solidarietà. L’Istituto IIS “Medaglia d’oro – Città di Cassino” ha ospitato un incontro che ha coinvolto studenti, docenti e rappresentanti delle istituzioni, uniti nel ricordo di Willy e nell’impegno per un futuro migliore.

L’intervento a scuola

La mattinata è iniziata nell’aula magna dell’Istituto, dove gli studenti hanno partecipato a un momento di riflessione condivisa. Nel mio intervento, ho sottolineato l’importanza di trasformare la memoria di Willy in azioni concrete, evitando che il suo sacrificio venga dimenticato. Abbiamo parlato della necessità di promuovere comportamenti nonviolenti, tolleranza e amicizia tra i ragazzi. Ho anche ricordato il coraggio straordinario della mamma di Willy, Lucia, che ha trasformato il dolore in un progetto educativo, offrendo testimonianza e speranza ai giovani.

Visita alla “Casa di Willy”

La giornata è proseguita presso “La casa di Willy”, il centro di aggregazione giovanile inaugurato nel quartiere San Bartolomeo. Questo spazio, nato con il sostegno del Comune, rappresenta un punto di riferimento fondamentale per i ragazzi del territorio. Qui, i giovani possono trovare un ambiente sicuro, educativo e stimolante, dove crescere e confrontarsi. Il centro è un tributo concreto alla memoria di Willy e un impegno tangibile per costruire una comunità più giusta e solidale.

Condivisione in Comunità Exodus

La giornata si è conclusa con un pranzo presso la Comunità Exodus, un’altra realtà che lavora quotidianamente per offrire ai giovani un’alternativa alla strada e alla solitudine. È stato un momento di condivisione autentica, dove abbiamo ribadito l’importanza di spazi di aggregazione e di progetti educativi che mettano al centro i ragazzi.

Un messaggio di speranza

Questo incontro ha lasciato un segno profondo: la memoria di Willy non è solo un ricordo, ma un impegno collettivo. Come comunità, dobbiamo continuare a chiedere risorse e attenzione per i giovani, investendo in spazi e progetti educativi. Solo così potremo trasformare la violenza in speranza, proprio come ha fatto la signora Lucia, che con il suo esempio ci ricorda ogni giorno il valore della solidarietà e del cambiamento.

Una giornata che non dimenticheremo, con l’obiettivo di costruire insieme un futuro migliore per tutti i ragazzi della nostra città.

Gioco d’azzardo: il dramma nascosto dietro lo schermo

Gioco d’azzardo: il dramma nascosto dietro lo schermo

Sempre più giovani, inghiottiti dal vortice del gioco d’azzardo, cadono nella trappola. Clic dopo clic, una scommessa dopo l’altra, inseguono l’illusione di poter vincere, di ribaltare il proprio destino, di dominare una partita truccata. Quello che credono essere solo un gioco si trasforma, però, in un abisso senza fine. Questi ragazzi finiscono stritolati in un ingranaggio che non perdona, che risucchia ogni risorsa: economica, sociale, personale.

Non è solo un fenomeno legato alla fragilità individuale: è un dramma collettivo, un cancro che si espande silenziosamente. E la provincia di Frosinone non fa eccezione. Lo conferma la ricerca dell’Università di Cassino, realizzata dal Laboratorio di Ricerca Sociale diretto dal professor Maurizio Esposito. Dati durissimi, che ci sbattono in faccia una realtà allarmante. L’indagine evidenzia come il gioco d’azzardo stia corrodendo non solo chi vive già ai margini, ma anche giovani. Giovani che, a causa della crisi economica e lavorativa, vedono nella vincita facile un’uscita dalla disperazione. È una discesa lenta e inesorabile, spesso nascosta anche a chi è vicino.

Il click della rovina

C’è un dato che fa impressione. Dopo la pandemia, il gaming online è esploso con un aumento del 130%. Mentre le vecchie slot machine perdono terreno, i giochi e le scommesse online crescono a dismisura. Nel 2023, le somme giocate dagli italiani sono arrivate a rappresentare il 16% del reddito imponibile. Un dato che parla chiaro: i giovani italiani fra i 25 e i 34 anni hanno aperto oltre un milione e duecentomila conti gioco online. Un milione di vite potenzialmente a rischio di essere rovinate. E il vero pericolo? La dipendenza da gioco online è subdola, nascosta, lontana dagli occhi di chi potrebbe intervenire. I genitori, gli amici, non vedono. I giocatori sono soli, davanti a uno schermo che inganna e che non lascia scampo. Quello che sembra un passatempo innocente, si rivela una trappola inesorabile. E troppo spesso, quando se ne rendono conto, è già tardi.

Servono risposte nuove

Il primo punto di riferimento anche per le persone con dipendenza da gioco è il Servizio per le Dipendenze della Asl. In provincia ce ne sono quattro: a Frosinone, Cassino, Sora e Ceccano. Ma serve fare di più. Per questo dal 1° settembre, in collaborazione con il Ser.D. di Cassino e la Asl di Frosinone, abbiamo attivato un nuovo Centro Diurno per le dipendenze comportamentali, incluso il gioco d’azzardo. Un rifugio per chi non sa più come uscire dal tunnel. Un luogo dove chi soffre può trovare un programma di riabilitazione, dove affrontare la propria dipendenza con il supporto di professionisti, attraverso psicoterapia, sport e sostegno. Un luogo dove tornare a respirare. In realtà già da due anni, in collaborazione con il Consorzio per i Servizi sociali, è stato attivato un gruppo di auto aiuto per giocatori problematici che finora ha coinvolto una trentina di persone. Ma c’è ancora tanto da fare per sensibilizzare il territorio di fronte a questa piaga sociale.

Un problema che riguarda tutti

Siamo di fronte a una battaglia che la società non può più ignorare. Non è più possibile chiudere gli occhi. Serve un’azione collettiva, che parta dall’educazione nelle scuole e arrivi alla regolamentazione dell’offerta di gioco. Troppe sale giochi, troppi luoghi di tentazione a portata di mano. Dal punto di vista medico e della salute mentale non possiamo permettere che i bar e i tabaccai diventino luoghi di perdizione. Ben vengano posti dedicati esclusivamente al gioco ma fuori dai centri abitati. La recente introduzione delle nuove linee guida per l’educazione civica nelle scuole parla finalmente di prevenzione delle dipendenze: prendiamo la palla al balzo. Immaginate l’impatto che avrebbe un’ora di educazione civica passata in una comunità come Exodus, a contatto con chi ha toccato il fondo. Sarebbe un’esperienza formativa, reale, che colpirebbe al cuore. Solo così possiamo davvero sperare di prevenire il disastro.
Ludopatia: una nuova risposta da Exodus Cassino

Ludopatia: una nuova risposta da Exodus Cassino

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Intervista di Carmela Di Domenico per Ciociaria oggi di lunedì 16 settembre 2024

Sempre più giovani inghiottiti dal gioco d’azzardo, spesso a portata di click. Inseguendo l’illusione di farcela, di poter pianificare una vincita, di mantenere il controllo. E che invece finiscono stritolati dagli ingranaggi di quella che è una vera e propria dipendenza. Così se l’Università di Cassino con lo studio realizzato dal laboratorio di Ricerca Sociale, ha “ristretto” l’età delle vittime del gioco d’azzardo, l’analisi del Responsabile di Exodus, Luigi Maccaro, ha allagato le maglie. Anzi, in realtà, le maglie sono così tanto larghe che si è reso necessario dal 1° settembre dare il via ad un nuovo Servizio, promosso in collaborazione con il Ser.D. di Cassino e la Asl di Frosinone: un centro diurno per le dipendenze comportamentali, in cluso il gioco d’azzardo. Una comunità semiresidenziale dove i dipendenti da gioco possono seguire un programma di riabilitazione.

Dipendenza da gioco d’azzardo. A gennaio il report della arcidiocesi di Gaeta indicava Coreno “sul podio” con un primato tutt’altro che positivo. Una situazione non dissimile da quella di altri Comuni del Cassinate… A che punto siamo ora?

La situazione nel Cassinate, purtroppo, resta preoccupante. La recente ricerca dell’Università di Cassino, realizzata dal Laboratorio di Ricerca Sociale diretto dal prof. Maurizio Esposito, ha messo in luce dati significativi sul gioco d’azzardo nella provincia di Frosinone. L’indagine ha contribuito a definire e quantificare il fenomeno, evidenziando come molti giocatori tendano a sottovalutare la gravità della loro situazione, fino a trovarsi costretti a chiedere aiuto per problemi economici o sanitari. Interessante è anche la correlazione tra bassa scolarizzazione e frequenza del gioco, così come l’aumento del fenomeno tra giovani adulti, tra i 18 e i 35 anni, a causa della crisi economica e lavorativa..

Giochi d’azzardo sempre più a portata di click. Quanto pesa la dipendenza “telematica”?

È impressionante la crescita del gaming online post pandemia: +130%. Mentre il canale fisico, le vecchie slot machine per intenderci, è calato di oltre l’8%. Non solo: le somme giocate dall’italiano medio nel 2023 sono arrivate al 16% del reddito imponibile dichiarato (erano l’11% nel 2019). I dati ufficiali segnalano che nel 2022 i giovani italiani fra i 25 e i 34 anni, hanno aperto oltre un milione e duecentomila conti sulle piattaforme di gioco online. La facilità con cui si può accedere a piattaforme online, specialmente via smartphone, ha aumentato il rischio, soprattutto tra i giovani e le persone che già vivono in isolamento. Questo tipo di dipendenza è spesso più difficile da individuare perché avviene lontano dagli occhi di chi potrebbe intervenire, come familiari o amici.

Exodus è sempre in prima linea quando si parla di prevenzione. Con progetti rivolti alle comunità locali, prima di tutto per informare. Ma per quelli che hanno già il problema?

Intanto il primo punto di riferimento è il Ser.D. Ormai da qualche anno, in collaborazione con il Consorzio dei Servizi Sociali, portiamo avanti il progetto “A che gioco giochiamo?” che prevede incontri di informazione nei 26 Comuni, Centro di ascolto e orientamento, Gruppo di auto aiuto per giocatori problematici (Qui la pagina web dedicata al progetto “A che gioco giochiamo?”). Ma dal 1° settembre c’è un nuovo servizio, promosso in collaborazione con il Ser.D. di Cassino e la ASL di Frosinone: un Centro diurno per le dipendenze comportamentali, incluso il gioco d’azzardo. Una comunità semiresidenziale, aperta tutti i giorni dalle 9 alle 17 dove i dipendenti da gioco possono seguire un programma di riabilitazione che utilizza tanti strumenti, dalla psicoterapia allo sport. (Qui la pagina web dedicata al Centro diurno Exodus Cassino)

Spesso si tende a minimizzare, invece è una dipendenza su cui intervenire in modo professionale. Chi chiede aiuto? Le famiglie o le persone interessate?

La maggior parte delle volte sono le famiglie a chiedere aiuto per primi, quando si rendono conto del problema. Tuttavia, anche le persone direttamente coinvolte cercano sempre più spesso supporto, soprattutto quando iniziano a vedere gli effetti negativi sul loro benessere economico e sociale. È fondamentale un intervento professionale per evitare che la situazione degeneri ulteriormente.

Vi sono storie più di altre che possono essere sintomatiche della situazione vissuta nel Cassinate?

Mi ha colpito di recente la storia del centrocampista della Juve Nicolò Fagioli. Una persona giovane, famosa e ricca che chiede aiuto è uno sprone per tutti quei giocatori che hanno paura, si vergognano e non riescono a chiedere aiuto. Di storie così ce ne sono tante anche da noi. Parlano di persone fragili, vulnerabili, vittime di un’offerta di gioco incredibilmente esagerata. Quello che serve è una legge capace di restringere quest’offerta. Bisogna diminuire gli orari, allontanare i luoghi del gioco da abitazioni, scuole, uffici. Bisogna togliere il gioco dai bar e dai tabaccai creando degli esercizi commerciali riservati al gioco fuori dalla portate delle persone fragili.

La società cosa deve fare?

La società deve affrontare il problema a partire dall’educazione. Da quest’anno scolastico sono entrate in vigore le nuove linee guida per l’educazione civica. Fra le altre cose c’è un’attenzione particolare alla prevenzione e al contrasto delle dipendenze derivanti da droghe, fumo, alcool, doping, uso patologico del web, gaming e gioco d’azzardo. Sarebbe molto bello che qualche scuola decidesse di portare gli studenti a Exodus per un’ora di educazione civica: potrebbe essere molto, molto formativa! (Qui la proposta formativa per gli studenti “Un giorno in Comunità”).

Solitudine e fragilità: l’ombra nascosta della generazione iperprotetta

Solitudine e fragilità: l’ombra nascosta della generazione iperprotetta

Diciassettenne pluriomicida: solitudine e fragilità opprimono gli adolescenti di oggi, generazione iperprotetta vittima di un mondo virtuale che alimenta fragilità e isolamento.

Stavolta la droga non c’entra, l’alcol non c’entra, la malattia mentale non c’entra. Non c’è bullismo, non c’è separazione dei genitori, non c’è abuso di social, anzi. Riccardo, 17 anni, era studioso, serio, sportivo, tranquillo e con la fidanzata. Ma si sentiva solo. La solitudine lo opprimeva. In mezzo agli altri si sentiva un corpo estraneo e così era pure in famiglia. Da qualche giorno gli girava in testa uno stesso pensiero: eliminare quelli che non lo capivano. Quelli che avrebbero dovuto essere motivo di gioia, di sicurezza, di protezione: la famiglia. E che invece nella sua testa rappresentavano il contrario, il motivo del suo disagio. (Leggi qui: Strage in famiglia, il ragazzo al pm: ‘Vivo un malessere’ ma era lucido. Nessun movente accertato).

Il disagio

Quello stesso disagio che ogni adolescente affronta ogni giorno e di fronte al quale ogni genitore è costretto a domandarsi dove ha sbagliato, cosa è andato storto, cosa sarebbe potuto andare diversamente. Mentre i ragazzi pensano a come liberarsi da quell’oppressione, Riccardo covava l’assurda idea omicida che partiva da un pensiero ossessionante: «Non avevo un vero dialogo con nessuno. Era come se nessuno mi comprendesse». Per tanti ragazzi la fuga dal disagio si trasforma in bullismo, uso di alcol e droghe, abuso di internet e videogame. Per altri invece, forse come Riccardo, sempre di più negli ultimi anni, la fuga dalla realtà diventa una specie di auto condizionamento mentale che diventa ansia, attacchi di panico, angoscia immotivata. (Leggi qui: Occhi chiusi per non vedere la droga che uccide i nostri ragazzi).

La generazione ansiosa

I nostri adolescenti sono quelli che hanno chiuso l’epoca del gioco e hanno aperto l’epoca dello smartphone. Hanno cambiato completamente il modo di essere bambini e ragazzi. Si immergono per ore nel mondo virtuale fatto di immagini e video che rimandano un messaggio denominatore comune: la felicità non è dove sei tu, è qui dove stiamo girando questo video. E tu non ci sei. Da qui nasce l’ondata di ansia, depressione, disturbi alimentari, istinti autolesionisti e suicidari. L’ondata di malattia mentale che investe il mondo degli adolescenti da dieci anni a questa parte.

Dalla scoperta della vita alla difesa dalla realtà

Prima i ragazzi erano presi dalla voglia di scoprire la vita, avevano fretta di diventare adulti, conoscendo il mondo conoscevano sé stessi e sbattendo il muso contro le illusioni intanto si rinforzavano e si preparavano alla vita adulta. Poi sono diventati grandi e sono diventati genitori e sono diventati protettivi, anzi, iperprotettivi. Oggi possiamo localizzare in qualunque momento i nostri figli e, volendo, potremmo attivare da remoto il microfono del loro telefono per ascoltare quello che gli succede intorno, con chi parlano e di cosa parlano (Leggi qui: Cellulari fuori, educazione dentro. Adulti sotto esame). Quando però girano per 7/8 ore al giorno su internet, non sappiamo dove vanno, cosa vedono e cosa leggono. Ci piace pensare che stando sul letto della loro camera non corrano nessun rischio. Nel frattempo quella voglia di scoprire il mondo si è trasformata in necessità di difendersi da tutto. Tutto è un pericolo, tutto è una minaccia. Anziché cercare nuove esperienze cercano di difendersi dall’ansia.

Parliamone

Chi ha tolto ai nostri figli la fiducia nel futuro? E nel prossimo? Chi ne ha fatto una generazione di persone fragili e apprensive? Chi gli impedisce di affrontare rischi ed emozioni, di imparare a dominare le proprie paure, di sviluppare quelle capacità di affrontare i problemi e le conseguenze del loro agire? Siamo noi genitori, resi ansiosi a nostra volta dalla società della paura nella quale viviamo, dove certa politica e certa comunicazione ci hanno insegnato a prendere le distanze da tutto ciò che è altro da noi. E così ci ritroviamo figli spesso incapaci di badare a sé stessi, incapace di gestire conflitti e frustrazioni. Fragili e soli, come Riccardo. Non ci sono soluzioni drastiche efficaci, non ci sono ricette, ogni adolescente è una foresta di sentimenti, ogni famiglia è un mondo a parte. Ma bisogna parlarne, confrontarsi, non avere paura. Provare con fiducia a darsi delle regole, accettare il conflitto coni figli, consapevoli che è proprio dentro al conflitto che i figli si rafforzano. Nel confronto che, scoprendo le differenze, imparano a conoscere sé stessi. Senza darsi obiettivi stupidi come assomigliare alla famiglia del Mulino Bianco. A Riccardo non è servito. Non serve a nessuno.

(Foto di Copertina © freepik)

Stop agli smartphone in classe

Stop agli smartphone in classe

Da settembre il cellulare resta a casa o al massimo chiuso nello zaino. Ritorna il caro vecchio diario di carta per segnare i compiti. Smartphone banditi dunque, anche per uso didattico sotto il controllo degli insegnanti.
L’uso eccessivo della tecnologia ha un impatto negativo e potenzialmente pericoloso sullo sviluppo cognitivo dei ragazzi. Per non parlare del crollo del rendimento scolastico degli adolescenti. Distrazione, perdita di memoria e di concentrazione, diminuzione della capacità dialettica e di spirito critico. Con tanto di studi scientifici a supportare la decisione del Ministro accolta con favore da tanti genitori rassicurati dal provvedimento.
Insomma il nemico smartphone è messo all’angolo. Ed ora? Assisteremo ad un cambiamento generazionale epocale? Ai social abbiamo dato la colpa di fronte ai ragazzi depressi, a quelli che si comportano male con gli adulti, a quelli che non vanno bene a scuola, di fronte agli episodi di bullismo e alle sfide pericolose. Tutto il disagio e la sofferenza giovanile di questi anni hanno trovato una causa, il famigerato cellulare che adesso dovrà vedersela con il Ministro dell’Istruzione. Quanto ci piace semplificare la complessità del nostro tempo! Anche perché così abbiamo più tempo per postare su tutti i social le nostre opinioni, la nostra vita privata, la rappresentazione di noi stessi che ci fa sentire all’altezza di una timeline straboccante di modelli di successo. Sarà anche per questo che andiamo perdendo credibilità di fronte ai ragazzi?

Torniamo a fare gli adulti

Non c’è dubbio che oggi fare il genitore è più complicato di ieri: l’era digitale mette i ragazzi su un piano diverso dal nostro approccio “analogico” alle cose della vita. Però l’uso smodato della tecnologia e dei social, diciamocelo, riempie un vuoto, per un per un bel po’ di tempo delle nostre giornate. E poi lascia un vuoto ancora più profondo. E piano piano diventa come una droga. Ti da la sensazione di benessere, di euforia, ti fa dimenticare i problemi, poi finisce l’effetto e i problemi tornano ingigantiti. E si ricomincia. Un circolo vizioso che giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno ci va trasformando in adulti sempre meno adulti e sempre più adolescenti. Sempre più fragili. E magari pensiamo anche che i nostri figli non se ne accorgano. Però tutti a parlare della fragilità degli adolescenti confortati da studi, statistiche, esperti e gridi d’allarme.

Fuori il cellulare, dentro l’educazione digitale

Mettere al bando il cellulare non basta. A noi adulti, a scuola e in famiglia, resta il compito di educare ad un uso consapevole e responsabile dello smartphone e dei social. Da dove si comincia? Con un po’ di umiltà bisogna imparare alcune cose prima di spiegarle ai ragazzi. In rete si trova di tutto ma anche questo approccio rischia di essere semplicistico di fronte a questioni così complesse. La cosa migliore è partecipare a qualche momento formativo rivolto agli adulti, genitori e insegnanti, con la presenza di esperti. Gli incontri “in presenza” sono importanti perché consentono di confrontarsi, porre dubbi, sperimentare gli strumenti, ad esempio di parental control, condividere soluzioni, buone prassi e abbassare il livello di ansia. Il primo bisogno dei genitori è quello di non sentirsi soli perché il senso di impotenza ovviamente prelude all’atteggiamento rinunciatario. E a forza di rinunciare ad educare i figli stiamo finendo per rinunciare a farli i figli.

L’Università della Famiglia

Ci sono tante realtà del terzo settore, ma anche Scuole e qualche Comune, che organizzano incontri di formazione per genitori ed insegnanti. Exodus ha lanciato diversi anni fa l’Università della Famiglia che, anche quest’anno, ad ottobre, riaprirà le attività con incontri animati da esperti con lunga esperienza di lavoro con gli adolescenti, nel campo del disagio giovanile, delle dipendenze, della relazione educativa e della progettazione sociale. La famiglia e la scuola sono i fattori di protezione più importante contro la sofferenza che galoppa tra i giovani, soprattutto dalla pandemia in poi. Informarsi, capire ed educare è un compito e una responsabilità a cui non possiamo sottrarci. Proviamo a farlo insieme, proviamo a farlo tutti.

Foto di copertina: Image by freepik

Giovani: mancano le strategie

Giovani: mancano le strategie

Dipendenze e educazione alla felicità. Nonostante le attività poste in essere, la prevenzione, le campagne informative (sempre troppo poche) ciò che manca sembra essere un’analisi vera sullo stato emotivo dei ragazzi. E dei meno giovani.

Perché i ragazzi sono tornati a drogarsi? Questa è la domanda che ci stiamo facendo da quando con il calo dell’eroina invece di diminuire i tossicodipendenti sono aumentati di dipendenti da qualunque cosa. La risposta più ricorrente, ad ascoltare proprio i ragazzi, è il vuoto che sentono dentro. Un vuoto che nasce dalla incapacità di dare senso alle cose della vita: la famiglia, la scuola, il tempo libero, le amicizie, le passioni come la musica o lo sport. Ma siamo noi adulti che non sappiamo più insegnare a dare senso alle cose. Da quel vuoto i ragazzi cercano di fuggire provando a riempirlo con quello che la società gli mette a disposizione: alcol, fumo, sostanze, gioco, sfide estreme. Le cose che attivano dopamina e scariche di adrenalina nel cervello e ti fanno sentire vivo.

Non è un caso che il numero dei suicidi nell’ultimo periodo pare essere aumentato…

Il suicidio è la seconda causa di morte fra gli adolescenti. Fa impressione la quantità di ragazzi che arrivano al gesto estremo passando per un percorso di disagio psicologico che a volte diventa, anche rapidamente, un disturbo mentale. Il tema della salute mentale è un’emergenza già da qualche anno, il covid l’ha solo reso più evidente, eppure i servizi sono gravemente in difficoltà. Nella nostra provincia l’unico reparto psichiatrico ospedaliero è rimasto a Cassino e sopporta il peso di un’intera provincia con gravi mancanze in organico. Eppure per come è grave oggi la situazione sarebbe indispensabile un reparto psichiatrico infantile. Idem per i servizi territoriali dove la mancanza di psichiatri è ormai un’emergenza. Andrebbero fatti screening approfonditi sin dalla fase scolare, ma chi li fa?

Parlando delle campagne di prevenzione/informazione, qualcosa è andato storto. Attività a intermittenza e anche a volte dimenticate. Perché?

In alcuni casi si continua a pensare che si debbano informare i ragazzi sui pericoli delle droghe ma questo è inutile e semplicistico. Primo perché i ragazzi non si spaventano di fronte ai rischi della trasgressione, secondo perché loro su google e sui social trovano più informazioni di quanto possiamo immaginare. Anzi, è proprio perché conoscono gli effetti, hanno voglia di sperimentare! Più che prevenire bisogna promuovere modelli di vita sana e che abbia significati profondi. Non è moralismo, bisogna promuovere lo sviluppo di competenze come la resilienza, l’affettività, il pensiero critico e il pensiero creativo. La prevenzione inizia da bambini davanti alla vetrina di un negozio quando il genitore insegna a spostare in avanti la gratificazione: non tutto e subito ma quando sarà il momento giusto. 

Torniamo ai numeri. I dati della relazione del Dep Lazio riferiti al 2023 ci dicono che quelli della Asl di Frosinone sono i più alti della Regione. Cassino rispecchia il trend provinciale o lo supera? E in cosa?

Penso che quando guardiamo alla nostra città abbia poco senso considerarne i confini geografici. Oggi Cassino è il punto riferimento di un territorio vasto che comprende quasi quaranta comuni. Migliaia di ragazzi che vengono qui per studiare, per divertirsi, per incontrare i loro coetanei ma anche per sperimentare, per trasgredire, per fuggire dal vuoto e dalla noia. E di conseguenza la gestione del tema dovrebbe essere collegiale, serve un Piano Locale Giovani di grande respiro con una forte dimensione interistituzionale. Non sono i dati ad essere allarmanti quanto piuttosto la mancanza di strategie!

Dipendenze da sostanze: oppiacei e coca ma di recente ci sono stati i casi di sospetta overdose registrati in ospedale a Cassino per un mix di sostanze.  Così come siringhe rinvenute anche in centro. Cosa sta succedendo sotto ai nostro occhi?

Non c’è quasi più una persona che abbia una sola dipendenza: si va dalle sostanze legali come i farmaci a quelle illegali, passando per il web, la pornografia, le dipendenze alimentari e il gioco d’azzardo. Una volta l’eroinomane lo trovavi agli angoli delle strade, oggi chi fa uso di sostanze è la persona della porta accanto. Sostanze alle quali si accede con una semplicità imbarazzante, su internet si può comprare qualsiasi cosa e questo favorisce anche l’abbassamento dei prezzi e l’abbassamento dell’età.

L’approccio con stupefacenti e alcol ormai avviene a un’età sempre più bassa. Che quadro abbiamo del Cassinate? 

Non abbiamo dati a cui fare riferimento, anche perché non ci sono fondi per la ricerca in questo campo. D’altra parte i dati che girano riguardano le persone che si rivolgono ai servizi e per ognuna di loro ce ne sono almeno altre tre che per vari motivi, compresa l’età giovane, ai servizi non si rivolgono. Ci sono però ragazzi che nel giro di un’estate passano dal fumare di nascosto la sigaretta elettronica alla stagnola di eroina. Serve una nuova consapevolezza da parte dei genitori che devono imparare ad osservare i comportamenti dei figli, anche quelli più banali e intervenire prima che sia troppo tardi.

Giovanissimi a rischio coma etilico quasi tutti i weekend. Su questo fronte cosa si può fare?

Anche qui l’educazione comincia in famiglia: non serve avere vino e birra a tavola tutti i giorni e sono stupidi gli adulti che invitano gli adolescenti ad “assaggiare” gli alcolici, eppure succede in tutte le famiglie, dove invece si dovrebbe imparare che l’alcol va usato con moderazione e in modo occasionale. Poi abbiamo la movida incontrollata e incontrollabile e lasciatemi dire quanto può essere ridicolo immaginare che i gestori dei bar possano mettere i cosiddetti steward a controllare i consumi e a limitare gli incassi! La funzione di controllo è dello Stato, nelle sue articolazioni, perciò serve la presenza delle forze dell’ordine, servono uomini, divise e mezzi presenti in maniera costante nei luoghi della movida. Tutto il resto sono chiacchiere inutili.

Nella voce “altre dipendenze” cosa ci finisce? Il gioco d’azzardo o forse anche le maledette challenge, che mettono a rischio poco più che bambini?

Le sfide pericolose parlano del bisogno dei ragazzi di attirare l’attenzione, per questo viaggiano tanto sui social. Bisogna mettere limiti seri all’uso della tecnologia. Possibile che ancora oggi ci siano genitori che lasciano l’uso libero del telefono, anche di notte, a figli di undici o dodici anni? Serve grande attenzione da parte dei genitori. Cellulari e tablet andrebbero banditi dalle scuole perché quando i genitori provano a mettere dei limiti spesso si trovano la scuola che invece impone stupidamente l’uso della tecnologia. E così anziché il fascino dell’Odissea raccontata da un insegnante appassionato ci troviamo un piattume indistinto concentrato sull’attimo presente, senza più il valore della memoria, né la speranza nel futuro.

 

 


     

    Il carcere e la città

    Il carcere e la città

    Ventuno anni, poco più che adolescente. Questa l’età di ragazzo morto nel carcere di Frosinone qualche giorno fa. Ha inalato il gas di una bomboletta da campeggio e sembra improbabile che possa averlo fatto per errore. Un’indagine con cui accertarlo è stata aperta dalla procura del capoluogo. Dunque potrebbe trattarsi del quarantottesimo suicidio nelle carceri italiane di quest’anno. Ma ad oggi siamo già a 50 casi e in questi primi sei mesi del ‘24 ce ne sono anche 5 che riguardano gli agenti di custodia. Il mondo delle politiche sociali deve interrogarsi, oggi più che mai, su come ridare dignità alle persone detenute.

    Lo “svuota-carceri”

    Mentre scrivo il Ministro Nordio presenta in Consiglio dei Ministri il decreto “svuota-carceri” con sconti di pena e facilitazioni per le misure alternative ma il sovraffollamento non è l’unico aspetto. Il vero punto, che anche questo decreto non prova nemmeno ad affrontare, è la funzione rieducativa della pena, per la quale servirebbero educatori (appunto!), psicologi, scambio con le realtà (accreditate!) del Terzo settore.

    Un mondo a parte

    Entro in carcere da tanti anni per incontrare detenuti con problemi di tossicodipendenza. Con loro si incontra un mondo profondamente complesso, fatto di cancelli pesanti che ti si chiudono alle spalle ad ogni corridoio. Ma anche di persone che vivono o lavorano immerse in una dimensione parallela a quella della normalità.

    Cassino, Frosinone, Regina Coeli, Rebibbia, Poggio reale, Nisida: il carcere è un mondo a sé stante dove il tempo ha senso solamente nell’attesa del fine penaNon è un tempo di ricostruzione, non è un tempo di conversione, non è un tempo di rieducazione, non è un tempo di cura. Perlomeno nella stragrande maggioranza dei casi. Anche a causa della mancanza di personale.

    Eppure, non occuparsi della rieducazione dei detenuti, della ricostruzione delle loro abilità sociali, dei loro percorsi formativi e di reinserimento lavorativo è il più grande danno che la società possa fare a sé stessa perché quando il detenuto esce dal carcere non ha nessuna opportunità che gli impedisca di tornare a delinquere. Non ha paura di tornare in carcere perché non ha nulla da perdere.

    Il “doppio fardello”

    A maggior ragione se vive una condizione di salute compromessa come il disagio psichico, la tossicodipendenza, le varie forme di disturbo della personalità. La sanità penitenziaria è lontana anni luce dalla possibilità di prendere in carico realmente la sofferenza di queste persone.

    Nel libro “Il doppio fardello” il professor Maurizio Esposito, partendo da un lavoro di ricerca molto approfondito, mette a nudo tutti i limiti del sistema penitenziario sul tema del diritto alla salute di persone alle quali non solo è negata la libertà ma anche la cura di malattie croniche che, di fatto, pregiudicano le relazioni e le prospettive future. Occuparsi della loro salute è il primo modo per ridare dignità alle persone detenute.

    In un’intervista Giovanni Maria Flick (ex ministro di Giustizia e presidente della Corte Costituzionale) ricorda che “il carcere viene considerato un mondo a parte, poroso ma impermeabile a qualsiasi forma di cambiamento; uno strumento di reazione alla paura del diverso”. Invece di essere utilizzato come extrema ratio, per casi particolarmente gravi è lo strumento per risolvere problemi ordinari. A parere del giurista si continua a perseguire la strada del “carcere a ogni costo” e “ci si dimentica dei diritti e della dignità del detenuto, oltre che della funzione educativa della pena”. Aggiunge: “Ma c’è un principio che spesso viene dimenticato: è la pari dignità sociale, la quale non esclude nessuno, neanche i detenuti; neanche i condannati per i reati più gravi. È una dignità che spesso viene negata nei fatti che sembrano rendere impossibile un carcere diverso da quello attuale”.

    Dignità alle persone detenute

    Eppure iniziative innovative e molto interessanti si intravedono all’orizzonte come ad esempio la  collaborazione tra l’Università e il Carcere di Cassino che ha portato l’anno scorso il primo detenuto al conseguimento della laurea triennale in Servizi giuridici. Il progetto “Università in carcere” sta a dimostrare che i muri si possono superare. Così come numerosi sono i Volontari che intraprendono iniziative di solidarietà verso i detenuti.

    Nella nostra provincia esistono tre istituti penitenziari, Frosinone, Cassino e Paliano, nei quali gli operatori della sicurezza, gli operatori sanitari e i volontari vivono più o meno gli stessi problemi. 

    Mi domando se non possa avere senso costituire un Coordinamento “Carcere e città”. Gli Assessori alle politiche sociali dei 3 Comuni interessati potrebbero animare questo tavolo per dare maggiore incisività alle iniziative che hanno al centro i detenuti, le loro famiglie, le condizioni di vita in carcere e i difficili percorsi di reinserimento. Non il carcere dove ognuno coltiva il proprio orticello, bene sicuramente, ma il carcere dentro alla città dove fare rete significa che gli operatori possono aiutarsi tra di loro, scambiare buone pratiche, che i detenuti possono contare sul sostegno integrato di varie realtà, istituzionali e del privato sociale, dove la speranza possa trasformarsi in certezza di impegno corale per ridare dignità alle persone detenute. 

    È chiaro che disperazione e solitudine diventano facilmente terreno fertile per gesti estremi ma non possiamo sopportare che in Italia, finire in carcere debba significare morte della propria dignità di essere umano.

    Un tempo nuovo

    Un tempo nuovo

    Social News N° 56 | Da questa settimana ho il privilegio di firmare una rubrica sul blog AlessioPorcu.it nella quale mi occuperò di politiche sociali. L’idea è quella di mettere in evidenza le fragilità sociali, le possibili risposte e le innovazioni sociali che abbiamo numerose sul nostro territorio.
    Vai alla mia rubrica su AlessioPorcu.it →

    Cosa resta dopo la Giornata mondiale di lotta alle droghe?

    Passata più o meno sotto silenzio anche quest’anno la Giornata mondiale di lotta alla droga. Il 26 giugno il Governo ha presentato i dati della relazione annuale al Parlamento mettendo in evidenza che quattro giovani su dieci tra i 15 e i 19 anni nel 2023 hanno fatto uso almeno una volta di sostanze stupefacenti.
    E in Provincia di Frosinone che succede? Il rapporto dell’osservatorio epidemiologico segnala che sono oltre 1.800 gli utenti in carico alla ASL. Da non dimenticare le persone, un centinaio circa, accolte dalle tre comunità terapeutiche In dialogo a Trivigliano, Nuovi orizzonti a Piglio e Fondazione Exodus a Cassino dove seguono un programma di riabilitazione residenziale.
    Si conferma l’allarme, soprattutto in considerazione del fatto che i numeri ufficiali corrispondono ad almeno un terzo dei numeri veri, fatti dalle tante persone che per tanti motivi non si rivolgono ai servizi del pubblico e del privato sociale. Il boom di cocaina e crack si rispecchia negli episodi sempre più numerosi che negli ultimi anni vedono giovani protagonisti di episodi violenti. In questi giorni siamo impressionati dalla morte del povero Thomas a Pescara ma le “nostre” storie recenti di Alatri, Colleferro, Frosinone hanno tutte a che fare con le droghe che scorrono a fiumi nella nostra provincia.
    I dati finalmente mettono in luce anche un altro fenomeno che riguarda sempre più spesso le ragazze: l’utilizzo di psicofarmaci senza prescrizione medica. Fatto che non si può non mettere in relazione con i fenomeni di isolamento sociale e di depressione che investono i nostri ragazzi. E con i suicidi che pure fanno sempre più impressione per la frequenza con cui caratterizzano una gioventù sempre più fragile e disorientata di fronte ai problemi della vita.
    Potremmo parlare dell’alcol ma continuare a rincorrere i dati sull’uso di sostanze, da anni, non cambia le cose.
    Il punto è che abbiamo smesso di investire sull’educazione agli stili di vita sani. Abbiamo smesso di scommettere sulla prevenzione come risposta al disagio. Abbiamo disinvestito su tutte le azioni educative, proprio adesso che, nel post covid, la fragilità dei nostri adolescenti si vede da diversi sintomi: l’aumento dell’isolamento sociale, l’incremento degli atti di autolesionismo e di intenti suicidari. La questione delle sostanze è un effetto, ma non è l’unico: è il sintomo di una condizione di fragilità che è in costante aumento.
    Ogni tanto si fanno interventi nelle scuole per parlare dei pericoli delle droghe ma dobbiamo dirci onestamente che è solo può modo per metterci a posto la coscienza: i ragazzi conoscono le sostanze e sono perfettamente consapevoli dei rischi, l’approccio disfunzionale si usava decenni fa, ma oggi sappiamo che non serve.
    Droghe, alcool, dipendenze affettive, azzardo hanno tutte la stessa origine: sono modi per cercare la felicità al di fuori di sé. Sotto la dipendenza c’è sempre una sofferenza, un fuoco, su cui non basta mettere il coperchio, bisogna spegnere le fiamme.
    Le strategie di lotta alla droga servono per quelli che già ci sono cascati e lottano per uscirne. Per questo abbiamo il lavoro che portano avanti i Ser.D. e le strutture del privato sociale. Anche se servono fondi e personale qualificato. Mancano medici, psichiatri e psicologi mentre le tariffe sono ferme al 2012 e in 12 anni il costo di tutto è raddoppiato.
    Ma il punto vero è il completo disinteresse di questo Paese per le Politiche giovanili. La qualità del tempo libero che offriamo ai nostri ragazzi è pessima: il muretto, il centro commerciale, il campetto e poi? Quali spazi dedicano le nostre città ai ragazzi? Dove possono incontrarsi in maniera informale? E perché gli spazi di aggregazione di una volta non funzionano più? L’offerta ideale per il tempo libero degli adolescenti e dei ragazzi dovrebbe prevedere non attività già organizzate a cui loro si iscrivono, ma luoghi auto-organizzati. È necessario un progressivo arretramento del mondo adulto per lasciare ai ragazzi spazi da gestire, organizzare e ripensare.
    A Cassino ci abbiamo provato con il Consiglio comunale dei giovani e lo stesso avviene a Sora, a Ceccano e in altri centri. Così come abbiamo inventato la “Casa di Willy” nel quartiere San Bartolomeo, sempre a Cassino, uno dei più difficili anche per la presenza di importanti luoghi di spaccio. Dico che abbiamo “inventato” perché non esistono fondi in Italia, né dal Governo, né dalle Regioni che possano essere utilizzati dalle città per aprire centri di aggregazione giovanile.
    Una volta le Province erano titolari della responsabilità di attuare il Piano Locale Giovani, lo facevano con i fondi della Regione. Oggi non ci sono più né i fondi, né le competenze. Ciò non toglie però che, con un atto di coraggio e con un po’ di speranza nel futuro, ci si possa mettere intorno ad un tavolo e riaprire il ragionamento. Ai nostri ragazzi lo dobbiamo.
    Di segnali ce ne stanno mandando parecchi!
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    Post scriptum

    Da diversi giorni ricevo tantissimi messaggi di amici che si dicono increduli per la mia mancata elezione al Consiglio comunale di Cassino. Io non sono rimasto sorpreso più di tanto perché sapevo che i professionisti della raccolta delle preferenze erano scesi in campo con un’organizzazione militare.
    Cinque anni fa, dopo le dimissioni del centrodestra e il dissesto, dalla città emergeva forte una richiesta di serietà e di concretezza che noi abbiamo contribuito ad incarnare. Oggi, dopo il buongoverno dell’Amministrazione Salera, quella richiesta non c’era più e il voto di opinione ha lasciato il campo libero al voto organizzato.
    Le elezioni non sono solamente proposte, idee, contenuti, racconto delle cose buone fatte nei cinque anni precedenti. Le elezioni richiedono anche organizzazione e, certamente, quella spregiudicatezza che a noi oggettivamente è mancata.
    Dunque la volontà dell’elettorato è sovrana e noi continueremo a dare il nostro contributo in altre forme. Con il sorriso, sempre.
    Leggo molto volentieri le vostre opinioni in proposito. Scrivete su posta@luigimaccaro.it →

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      Droga, apriamo gli occhi!

      Droga, apriamo gli occhi!

      Passata più o meno sotto silenzio anche quest’anno la Giornata mondiale di lotta alla droga. Il 26 giugno il Governo ha presentato i dati della relazione annuale al Parlamento mettendo in evidenza che quattro giovani su dieci tra i 15 e i 19 anni nel 2023 hanno fatto uso almeno una volta di sostanze stupefacenti. E in Provincia di Frosinone che succede? Il rapporto dell’osservatorio epidemiologico segnala che sono oltre 1.800 gli utenti in carico alla ASL. Da non dimenticare le persone, un centinaio circa, accolte dalle tre comunità terapeutiche In dialogo a Trivigliano, Nuovi orizzonti a Piglio e Fondazione Exodus a Cassino dove seguono un programma di riabilitazione residenziale.

      Si conferma l’allarme, soprattutto in considerazione del fatto che i numeri ufficiali corrispondono ad almeno un terzo dei numeri veri, fatti dalle tante persone che per tanti motivi non si rivolgono ai servizi del pubblico e del privato sociale. Il boom di cocaina e crack si rispecchia negli episodi sempre più numerosi che negli ultimi anni vedono giovani protagonisti di episodi violenti. In questi giorni siamo impressionati dalla morte del povero Thomas a Pescara ma le “nostre” storie recenti di Alatri, Colleferro, Frosinone hanno tutte a che fare con le droghe che scorrono a fiumi nella nostra provincia.

      I dati finalmente mettono in luce anche un altro fenomeno che riguarda sempre più spesso le ragazze: l’utilizzo di psicofarmaci senza prescrizione medica. Fatto che non si può non mettere in relazione con i fenomeni di isolamento sociale e di depressione che investono i nostri ragazzi. E con i suicidi che pure fanno sempre più impressione per la frequenza con cui caratterizzano una gioventù sempre più fragile e disorientata di fronte ai problemi della vita.

      Potremmo parlare dell’alcol ma continuare a rincorrere i dati sull’uso di sostanze, da anni, non cambia le cose. Il punto è che abbiamo smesso di investire sull’educazione agli stili di vita sani. Abbiamo smesso di scommettere sulla prevenzione come risposta al disagio. Abbiamo disinvestito su tutte le azioni educative, proprio adesso che, nel post covid, la fragilità dei nostri adolescenti si vede da diversi sintomi: l’aumento dell’isolamento sociale, l’incremento degli atti di autolesionismo e di intenti suicidari. La questione delle sostanze è un effetto, ma non è l’unico: è il sintomo di una condizione di fragilità che è in costante aumento.

      Ogni tanto si fanno interventi nelle scuole per parlare dei pericoli delle droghe ma dobbiamo dirci onestamente che è solo può modo per metterci a posto la coscienza: i ragazzi conoscono le sostanze e sono perfettamente consapevoli dei rischi, l’approccio disfunzionale si usava decenni fa, ma oggi sappiamo che non serve.

      Droghe, alcool, dipendenze affettive, azzardo hanno tutte la stessa origine: sono modi per cercare la felicità al di fuori di sé. Sotto la dipendenza c’è sempre una sofferenza, un fuoco, su cui non basta mettere il coperchio, bisogna spegnere le fiamme.

      Le strategie di lotta alla droga servono per quelli che già ci sono cascati e lottano per uscirne. Per questo abbiamo il lavoro che portano avanti i Ser.D. e le strutture del privato sociale. Anche se servono fondi e personale qualificato. Mancano medici, psichiatri e psicologi mentre le tariffe sono ferme al 2012 mentre in 12 anni il costo di tutto è raddoppiato.

      Ma il punto vero è il completo disinteresse di questo Paese per le Politiche giovanili. La qualità del tempo libero che offriamo ai nostri ragazzi è pessima: il muretto, il centro commerciale, il campetto e poi? Quali spazi dedicano le nostre città ai ragazzi? Dove possono incontrarsi in maniera informale? E perché gli spazi di aggregazione di una volta non funzionano più? L’offerta ideale per il tempo libero degli adolescenti e dei ragazzi dovrebbe prevedere non attività già organizzate a cui loro si iscrivono, ma luoghi auto-organizzati. È necessario un progressivo arretramento del mondo adulto per lasciare ai ragazzi spazi da gestire, organizzare e ripensare.

      A Cassino ci abbiamo provato con il Consiglio comunale dei giovani e lo stesso avviene a Sora, a Ceccano e in altri centri. Così come abbiamo inventato la “Casa di Willy” nel quartiere San Bartolomeo, sempre a Cassino, uno dei più difficili anche per la presenza di importanti luoghi di spaccio. Dico che abbiamo “inventato” perché non esistono fondi in Italia, né dal Governo, né dalle Regioni che possano essere utilizzati dalle città per aprire centri di aggregazione giovanile.

      Una volta le Province erano titolari della responsabilità di attuare il Piano Locale Giovani, lo facevano con i fondi della Regione. Oggi non ci sono più né i fondi, né le competenze. Ciò non toglie però che, con un atto di coraggio e con un po’ di speranza nel futuro, ci si possa mettere intorno ad un tavolo e riaprire il ragionamento. Ai nostri ragazzi lo dobbiamo. Di segnali ce ne stanno mandando parecchi!

        Ne è valsa la pena

        Ne è valsa la pena

        Una cosa è certa: ho ricevuto molto di più di quello che ho dato. E questo è sufficiente per dire che ne è valsa la pena: dalle primarie del 2019 alle comunali di quest’anno ho perso e ho vinto e poi ho perso ancora ma la politica è entusiasmo, voglia di provarci, orgoglio di essersi messi in gioco.
        Soprattutto ne è valsa la pena perché oggi possiamo dire con certezza che la politica non è riservata ai professionisti, perché quando c’è una comunità unita da ideali ed entusiasmo si può affrontare qualunque sfida pur di essere all’altezza dei propri sogni.
        Oggi è il momento della delusione ma la passione per il bene comune continuerà in altre forme, certi che vale sempre la pena di “provare a lasciare il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato”.
        È stato un privilegio servire la mia città per cinque anni, accompagnando la speranza di chi, fra i più fragili, aveva bisogno di una risposta chiara, concreta e immediata dalle Istituzioni.
        Smaltiremo la delusione e riprenderemo il cammino al servizio del bene comune con ottimismo perché si può perdere un’elezione ma non il buonumore.
        A chi prenderà il mio posto lascio cose fatte con il cuore, progetti nati dall’incontro con le persone, mattoni solidi con i quali abbiamo reso più solida la nostra comunità.
        Ringrazio davvero tutti quelli con cui abbiamo fatto insieme questo pezzo di strada.
        Ma non si arriva se non per ripartire e siccome abbiamo dalla nostra parte l’entusiasmo, il tempo e la libertà continueremo ad occuparci di politica anche perché comunque la politica continuerà ad occuparsi di noi.
        Buona strada al Sindaco Enzo Salera e alla nuova maggioranza affinché portino avanti la rivoluzione che abbiamo iniziato insieme.

          Spazio Inclusione Sociale

          Spazio Inclusione Sociale

          «Possiamo passare dall’accettazione alla relazione, da una logica di inclusione a una logica di cittadinanza».
          Cassino è uno dei 656 Comuni italiani che aderiscono al Sistema di Accoglienza e Integrazione (S.A.I.). Su ottomila Comuni siamo a meno del 10%. Un Sistema molto serio e ben organizzato attraverso la collaborazione tra Enti locali e Terzo Settore. Il nostro partner è da quasi 15 anni la cooperativa sociale Ethica.
          Non si può dire lo stesso per i Centri di Accoglienza Straordinaria (C.A.S.) gestiti come un’emergenza (ancora!?) dalle Prefetture.
          La Regione Lazio, da diversi anni, mette a disposizione dei Comuni alcune risorse finalizzate a sostenere percorsi di integrazione.
          Con questi fondi abbiamo realizzato eventi di formazione per i dipendenti pubblici che devono relazionarsi con cittadini di provenienza straniera, abbiamo aperto uno sportello di orientamento per immigrati, abbiamo promosso alcune borse lavoro per giovani immigrati in una logica di inclusione.
          Tutto questo è oggi il progetto Spazio Inclusione Sociale presso l’Assessorato alla Coesione sociale del Comune di Cassino.
          Migrare non è un viaggio di piacere, spesso è l’unico modo per salvare la vita a se stesso e ai propri figli. Migrare è sempre una sofferenza, un dolore, un distacco profondo dalla terra dove sei nato. A nessuno piace migrare. Si fugge perché si è costretti. Questo non dimentichiamolo mai.
          Per questo è indispensabile incrementare le politiche di inclusione.
          🗳️ Alle prossime elezioni, ✖️barra il simbolo DEMOS e ✍️scrivi MACCARO.
          ✅ Guarda qui tutte le 💯 cose fatte in questi 5 anni : https://www.facebook.com/share/aGKDYxeY2SLP8Yr1/?
          Tavolo politiche giovanili

          Tavolo politiche giovanili

          «Ai giovani servono occasioni per essere protagonisti, dentro le istituzioni, con le loro idee».
          Lavoro da 30 anni con giovani che hanno fatto grossi sbagli nella loro vita e questo mi ha portato a promuovere decine di progetti di prevenzione nelle scuole e nei luoghi del tempo libero.
          Con la delega alle politiche giovanili c’è stato un cambio di passo: non più cose pensate per i giovani ma cose da pensare insieme ai giovani.
          Così è nato il Tavolo sulle politiche giovanili al quale hanno partecipato studenti universitari, esponenti di associazioni giovanili ma anche ragazzi non associati. Così è nata l’idea del Consiglio comunale dei giovani, l’istituzione di uno sportello di ascolto psicologico per adolescenti, la necessità di un centro di aggregazione giovanile nel quartiere di San Bartolomeo (La Casa di Willy), l’utilizzo della Rocca Janula per promuovere il turismo giovanile grazie ai fondi della Regione Lazio e tante altre iniziative che non solo state mai calate dall’alto ma sempre pensate insieme ai rappresentanti della generazione 15-25 anni.
          Non da ultimo, sul bilancio del Comune, è stato stanziato un fondo di circa diecimila euro, interamente a disposizione del Consiglio dei giovani affinché possa essere utilizzato per promuovere la partecipazione giovanile.
          Non poco, direi. Ma vogliamo continuare a fare molto di più anche nei prossimi 5 anni.
          Sei d’accordo???
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          Movida sicura

          Movida sicura

          «Fare prevenzione promuovendo stili di vita sani nei luoghi del divertimento, anche durante la pandemia».
          Stare in mezzo ai ragazzi è sempre una cosa molto bella. Lo facciamo da vent’anni, con l’unità mobile, nei luoghi di aggregazione giovanile per promuovere stili di vita sani, contro l’uso di droghe e l’abuso di alcol.
          L’estate del 2020 è stata l’estate del covid, quando ogni assembramento diventava una situazione di rischio, la possibilità di un nuovo focolaio. E i weekend in piazza Labriola erano come sempre luoghi a rischio per centinaia e centinaia di giovani e, ovviamente, per le loro famiglie.
          Per questo non abbiamo esitato ad organizzare, in collaborazione con la ASL di Frosinone, una distribuzione massiccia di mascherine e materiale informativo.
          Operatori del Comune, della Asl, del Volontariato hanno garantito la presenza in mezzo ai ragazzi, parlando con loro, facendo raccomandazioni, promuovendo senso di responsabilità.
          Tra le “cose fatte”, tutte quelle legate all’emergenza covid, hanno dimostrato una grande capacità di fare squadra, anche fra le istituzioni, per costruire, insieme, coesione sociale.
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          Ascolto psicologico adolescenti

          Ascolto psicologico adolescenti

          «La salute mentale è una delle frontiere dei prossimi anni. C’è una fragilità diffusa tra i ragazzi che ci colpisce e ci preoccupa».
          C’è qualcosa che, dopo il covid, in modo strisciante, insidioso, viscido, si è rifugiato nei cuori di parte della nuova generazione: è il disagio psicologico. La salute mentale è una delle frontiere dei prossimi anni.
          Con vari progetti in questi anni, sempre in collaborazione con Enti del Terzo Settore, abbiamo assicurato la presenza di uno psicologo in Assessorato disponibile all’ascolto di minori, soprattutto adolescenti.
          In particolare, durante il periodo del Covid, in molti casi le richieste sono state moltissime e l’ascolto è avvenuto anche on line.
          “La nuova generazione è spaventosa. Mi piacerebbe tanto farne parte”, diceva Oscar Wilde. La nuova generazione è fatta di ragazze e ragazzi pieni di talento, fantasia, capacità innovativa. Spaventosa e meravigliosa allo stesso tempo.
          Ma c’è una fragilità diffusa che ci colpisce e ci preoccupa.
          Di recente abbiamo predisposto un nuovo progetto S.M.A.R.T. (Supporto Minori A Rischio e in Tutela) che si rivolge ai più piccoli che vivono in un contesto familiare a rischio esclusione sociale.
          Infine abbiamo chiesto al Sindaco Enzo Salera che nel prossimo aggiornamento del Piano delle Assunzioni del Comune di Cassino, si possa prevedere l’inserimento in pianta organica di uno psicologo e di un educatore in maniera da assicurare il servizio in maniera permanente e strutturate, nell’ambito di una vera e propria equipe multidisciplinare.
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          Registro Terzo Settore

          Registro Terzo Settore

          «Sogno una città che abbia i valori che l’associazionismo esprime ogni giorno. Che si svegli la mattina con la voglia di cambiare il mondo e che non si rassegni alla paura del futuro».
          Il primo Regolamento che ho proposto in Consiglio comunale, approvato all’unanimità come tutti gli altri provvedimenti di questi 5 anni, è stato quello sui rapporti fra l’Amministrazione comunale e il Terzo settore. Un intervento normativo a cui tengo moltissimo per due motivi: uno personale e uno politico.
          Sono cresciuto negli scout e so che il tessuto sociale fatto di associazionismo rende forte la coesione e il senso di comunità. Questo aiuta moltissimo un’Amministrazione che voglia affrontare davvero la questione delle periferie della nostra vita quotidiana: povertà, disabilità, integrazione, dispersione scolastica… è lavorando insieme che possiamo costruire una città che non si rassegno al cinismo e alla paura, che sappia gustare la bellezza del confronto e del dialogo, che sappia anche essere giustamente critica e capace di stimolare e di spronare la classe politica.
          Se dovessi dire cosa mi porto dentro dopo questi 5 anni, è proprio questo: il senso del noi, il senso di comunità, il senso di coesione, il coraggio di costruire legami anziché muri. Questo è il motivo per cui la mia esperienza amministrativa non poteva che partire dal rapporto con il mondo dal quale provengo, il Terzo Settore.
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          Consulta disabili

          Consulta disabili

          Consulta per i diritti delle persone con disabilità
          «La vera sfida è guardare alle persone e non alle loro disabilità »
          Vogliamo una città che sorrida alle differenze anziché guardarle con diffidenza o come un peso. Una città che consideri le fragilità come il punto di vista privilegiato da cui guardare il mondo e la vita. Una città #cassinosenzabarriere
          Il primo impegno che abbiamo preso e abbiamo realizzato è stata la Consulta delle Associazioni per i disabili perché tutte le azioni amministrative possano venire da un confronto con i cittadini che questi problemi li vivono sulla propria pelle. E ringrazio la Presidente della Consulta Maria Cristina Tubaro per la passione con cui sta portando avanti questo impegno.
          📲 Ti aspetto sul mio canale whatsapp per tutti gli aggiornamenti!
          Garante Infanzia

          Garante Infanzia

          I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza dovrebbero essere tra le priorità di ognuno, invece sono questioni spesso trascurate. Le sfide sono tantissime, dalla tutela del benessere dei ragazzi ai reati in continua crescita. È importante promuovere ed organizzare iniziative finalizzate al riconoscimento del valore, della dignità e dei diritti dei minori.
          La società ha il compito, se non il dovere, di evitare ogni fenomeno di esclusione sociale: discriminazione per motivi di sesso, religione, appartenenza etnica.
          Una società giusta deve avere a cuore il proprio futuro. L’ascolto, l’educazione e il rispetto dovrebbero essere la base di un percorso da poter intraprendere insieme ai minori (e non solo).
          I sogni che riempiono i bagagli di tutti i ragazzi che fuggono dalle guerre e dalla povertà, non dovrebbero restare sogni. Il dovere della società è quello di accogliere ed includere tutti i ragazzi affinché il loro futuro sia migliore di quello che hanno lasciato alle spalle.