Intervista di Katia Valente | Dipendenze da mondo virtuale, da quell’universo nel quale i ragazzi si rifugiano, allettante e modaiolo, ma che in realtà li sbanda, li devia, li porta sulle strade del- l’apparenza e della teatralità a tutti costi, ma anche lungo i sentieri delle droghe facili con una naturalezza disarmante.
Dipendenze accanto a quelle già conosciute e un mondo degli adulti che, spesso, resta alla finestra. Ma, anche e per fortuna, luoghi come la Casa di Willy a San Bartolomeo o il neonato Centro diurno di Exodus intitolato a don Lorenzo Milani come possibilità di accoglienza degli adolescenti e di rilancio autentico nella “vita reale”. Luigi Maccaro, responsabile della Fondazione Exodus di Cassino e già assessore comunale ai Servizi Sociali scatta una fotografia di questa nuova generazione e lancia un appello al presidente della Regione Rocca per costruire collaborazioni con Comuni e Terzo settore. Anche perché Centri giovanili e interventi educativi di strada, sono esattamente le risposte che servono.
Nuove dipendenze che si diffondono a macchia d’olio, la più insidiosa è quella da tecnologia? Com’è la situazione?
«Assolutamente sì, la tecnologia è una dipendenza insidiosa, ma non è solo questo: oggi per i ragazzi è uno scudo e allo stesso tempo una gabbia. La chiamano la “generazione ansia” e non è un caso. Vivono in un mondo dove ogni cosa è monitorata, dove si aspettano da loro risultati eccellenti, e dove il confronto è continuo. La tecnologia diventa un rifugio, ma alla fine si trasforma in una prigione, perché invece di permettere ai ragazzi di evadere, li espone ancora di più a questo controllo e confronto costante. E se non trovano modi per uscire da questa rete, il rischio è che il loro malessere cresca e diventi sempre più difficile da gestire».
Quale divario tra la realtà e l’online per i ragazzi? Quale la loro percezione?
«Molti ragazzi vivono questo distacco tra la vita online e quella reale come un peso. Online, sembra che tutti siano migliori, più felici, sempre al top, e loro si sentono obbligati a essere all’altezza, come se fosse una recita continua. È una pressione che li spinge a idealizzare il mondo digitale, mentre nel mondo reale non riescono mai a sentirsi abbastanza. Ecco perché tanti ragazzi si sentono bloccati, frustrati, senza strumenti per difendersi da questo confronto incessante. Lontano dagli schermi però c’è una libertà che dobbiamo aiutarli a ritrovare: il piacere di fare esperienze vere, con persone vere, senza preoccuparsi di essere perfetti o di piacere per forza».
Di cosa avrebbero bisogno nella più delicata delle fasi della crescita, l’adolescenza?
«In adolescenza, i ragazzi avrebbero un bisogno semplice ma fondamentale: essere lasciati liberi di sbagliare e scoprire chi sono senza sentirsi sotto esame.
Devono poter sperimentare, magari anche trasgredire, per imparare a cavarsela. Ma spesso noi adulti li controlliamo così tanto, e con aspettative così elevate, che rischiano di spegnersi. Anziché imparare dai propri errori, si sentono sempre in dovere di fare la cosa giusta e diventano quasi paralizzati dall’ansia di deludere. Credo che dobbiamo imparare a fare un passo indietro e fidarci di loro, lasciando che scoprano la propria strada. È così che cresceranno davvero, sviluppando una forza che sarà loro per tutta la vita».
La diffusione della droga corre anche online? Ci sono ramificazioni anche attraverso l’uso di uno smartphone?
«Purtroppo sì, e questo è allarmante. Oggi il web e i social sono diventati dei veri canali per il mercato delle droghe, accessibili in modo impressionante. Attraverso chat e social, i ragazzi possono trovare tutto, anche sostanze, con pochi clic, senza nemmeno uscire di casa.
Non solo: ci sono gruppi che normalizzano l’uso delle droghe, facendo sembrare che “provare” sia una parte quasi obbligata della crescita, come se fosse una tappa normale. È una realtà molto preoccupante, perché rende tutto fin troppo accessibile e facile, abbassando quei freni che potrebbero scoraggiarli. Combattere questa situazione significa prima di tutto riconoscere il problema: servono più monitoraggio, sensibilizzazione, e anche un impegno concreto delle piattaforme online per arginare questi rischi. Non possiamo ignorare quanto sia importante aiutare i ragazzi a sviluppare spirito critico e autocontrollo, perché la tecnologia non diventi una strada diretta verso pericoli reali».
Quali luoghi per prevenire e quali rimedi per “curare”?
«La prevenzione e il supporto concreto devono partire dai luoghi dove i ragazzi vivono ogni giorno, ma per farlo occorrono risorse e strutture accessibili in ogni area. È per questo che rivolgo un appello alla Regione Lazio e al Presidente Francesco Rocca, che so essere molto sensibile a questi temi, affinché possiamo lavorare insieme per portare fondi necessari sui territori, così da promuovere la nascita di centri di aggregazione giovanile. A Cassino, ad esempio, abbiamo aperto la Casa di Willy a San Bartolomeo grazie alle risorse comunali: un luogo di riferimento, sicuro e accessibile, dove i giovani trovano ascolto e attività per crescere in modo sano. Ma c’è ancora molto da fare. È altrettanto importante promuovere interventi educativi di strada, soprattutto nei luoghi della movida e del tempo libero, perché a volte sono proprio i ragazzi più a rischio quelli che tendono a sfuggire ai contesti più controllati.
Per raggiungerli, è fondamentale andare direttamente nei loro spazi abituali, instaurando un dialogo sincero e senza pregiudizi. Abbiamo la responsabilità di avvicinarci a loro, per offrire supporto, ascolto e strumenti per affrontare le difficoltà che incontrano, evitando che si sentano soli o isolati».
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