Giovani: impariamo ad ascoltarli

Giovani: impariamo ad ascoltarli

Oggi, nella Giornata per i diritti dei bambini e degli adolescenti, voglio parlarvi di un tema che mi sta a cuore: il modo in cui raccontiamo i giovani e le famiglie. Troppo spesso, quando si parla di ragazzi, il discorso si concentra sul disagio: li dipingiamo come fragili, problematici, in crisi. Dall’altra parte, i genitori finiscono sotto accusa, considerati incapaci di relazionarsi con i propri figli. È una narrazione che non funziona, e soprattutto non aiuta. Oggi più che mai, dobbiamo andare oltre.

Giovani: non una crisi, ma una risorsa

Sì, è vero, i dati mostrano delle criticità. Il 14% dei minori vive in condizioni di povertà assoluta, quasi uno studente su dieci conclude la scuola senza avere competenze di base adeguate, tanti ragazzi faticano a vedere regolarmente gli amici o vivono episodi di isolamento sociale​. Ma fermarsi a questi numeri significa dare un’immagine incompleta e ingiusta delle nuove generazioni.

I giovani non sono un problema, e nemmeno una “categoria fragile” da proteggere a tutti i costi. Sono invece una risorsa straordinaria. Nonostante le difficoltà, oltre il 60% degli adolescenti tra i 14 e i 19 anni dichiara di guardare al futuro con fiducia​. Cresce il loro impegno in attività di volontariato e movimenti per il cambiamento climatico. Questi ragazzi hanno una forza e una capacità di visione che dobbiamo riconoscere e valorizzare, non etichettare come “emergenza”.

E i genitori? Anche loro sono parte della soluzione

I genitori, a loro volta, finiscono spesso nel mirino. Uno studio recente ci dice che quasi la metà degli adulti sente di non riuscire a comunicare con i propri figli​. È facile, troppo facile, trasformare questo dato in un giudizio: “i genitori non sanno fare il loro lavoro”. Ma questa lettura è ingiusta e controproducente.

Dietro queste difficoltà, spesso, ci sono fattori esterni: il lavoro che lascia poco tempo, la pressione sociale, l’incertezza economica. I genitori non sono incapaci; sono persone che, come tutti, hanno bisogno di essere ascoltate e supportate. Non si tratta di fornire manuali d’istruzioni, ma di creare le condizioni perché le famiglie possano sentirsi parte di una rete di supporto, capaci di affrontare le sfide insieme ai propri figli.

Un cambiamento possibile, ma solo insieme

La verità è che non ci sono scorciatoie. Se vogliamo migliorare la condizione dei ragazzi e delle famiglie, dobbiamo lavorare insieme. Le scuole, le istituzioni, le associazioni, le famiglie stesse: tutti devono sentirsi coinvolti. Non si tratta di interventi miracolosi, ma di piccoli passi concreti.

Ad esempio, dobbiamo ricostruire spazi di dialogo, dove giovani e adulti possano parlarsi davvero. Troppo spesso, il problema non è la mancanza di soluzioni, ma la mancanza di ascolto. Impariamo a guardare i ragazzi negli occhi, a sentire le loro storie, a prenderli sul serio. E allo stesso modo, impariamo a riconoscere il valore dei genitori, a dar loro fiducia e strumenti per sentirsi protagonisti nel loro ruolo educativo.

Superare l’allarme per costruire responsabilità

Per fare questo, dobbiamo cambiare il modo in cui raccontiamo il disagio. Il disagio non è un’etichetta, non è una condizione definitiva. È una sfida, e come tutte le sfide può essere affrontata, se lavoriamo insieme.

Dobbiamo superare la logica degli allarmi. Le famiglie non sono “in crisi”, i ragazzi non sono “persi”. Sono parte di una società che ha bisogno di riconoscere i propri punti di forza per crescere. È qui che entra in gioco la responsabilità condivisa: smettere di cercare colpevoli e iniziare a costruire soluzioni.

Un futuro che parte dall’ascolto

La Giornata per i diritti dei bambini e degli adolescenti è il momento giusto per ricordarci che i giovani non sono numeri, né problemi da risolvere. Sono persone, con storie, sogni e potenzialità. E i genitori, come loro, non sono spettatori inermi, ma protagonisti di una comunità che può crescere solo insieme.

Guardiamo al futuro con fiducia. Non servono proclami, ma piccoli gesti concreti: ascoltare, dialogare, agire insieme. Perché non siamo emergenza. Siamo una società che ha tutto quello che serve per crescere e migliorare. Basta iniziare a crederci davvero.

La sfida educativa nelle periferie

La sfida educativa nelle periferie

Ho avuto l’opportunità di partecipare alla visita della Commissione Parlamentare sulle Periferie, invitato dall’On.le Paolo Ciani. Un’occasione importante, che ha portato i parlamentari a toccare con mano la realtà di due dei quartieri più complessi di Cassino, il Colosseo e San Bartolomeo. La visita si è conclusa proprio a San Bartolomeo, all’interno della Casa di Willy, uno spazio nato come simbolo di riscatto e attenzione al benessere delle persone, specialmente dei giovani.

Un esempio di rigenerazione sociale

La Casa di Willy è molto più di un centro educativo. Rappresenta l’impegno di un’amministrazione che ha voluto investire non solo in opere pubbliche e manutenzione, ma soprattutto nel tessuto sociale del quartiere. È un luogo di aggregazione sana ed educativa, pensato per dare ai ragazzi un’alternativa alla strada, un posto dove sentirsi accolti e supportati. Durante l’incontro, ho sottolineato ai parlamentari che questo tipo di iniziative non può restare un’eccezione. Ogni Comune dovrebbe avere a disposizione fondi per creare spazi di aggregazione, capaci di intercettare i giovani, soprattutto quelli più vulnerabili, anche attraverso interventi educativi di strada.

Investire sui giovani

Troppo spesso, infatti, le risorse pubbliche vengono destinate quasi esclusivamente alla manutenzione stradale o alle opere pubbliche, lasciando scoperti ambiti fondamentali come quello educativo. Non è possibile – ho detto ai parlamentari presenti – che si spendano milioni di euro per rifare le strade e poi non ci sia un centesimo per la protezione educativa dei ragazzi dei nostri quartieri. Questo è lo spirito con cui abbiamo voluto aprire il centro educativo a San Bartolomeo, e ci sarebbe bisogno di un’iniziativa simile anche al Colosseo, a Caira, a Sant’Angelo, a San Michele, e in tutti i quartieri di Cassino. È una necessità che le parrocchie, un tempo fulcro della vita sociale e della crescita educativa attraverso gli oratori, non riescono più a soddisfare per diversi motivi. Oggi è lo Stato, tramite i Comuni, che deve farsi carico di questa responsabilità.

Il ruolo delle istituzioni nella prevenzione

I fatti di cronaca che quotidianamente coinvolgono i giovani, tra reati violenti, episodi di bullismo, e altre forme di disagio, testimoniano che l’emergenza educativa è sempre più importante. Le istituzioni non possono più girarsi dall’altra parte o limitarsi a dare la colpa alle famiglie. Servono interventi strutturali e risorse per rispondere a queste sfide. La Casa di Willy è un esempio di buona pratica da replicare: non solo un centro, ma un progetto che coinvolge anche le realtà del terzo settore, una ricchezza inestimabile per i quartieri che può fare la differenza nella vita di molti ragazzi.

Servono impegni concreti e risorse certe

Viviamo in un’epoca in cui molti ragazzi sono soli di fronte a un mondo che si muove troppo in fretta, in cui la connessione è facile, ma i legami profondi sono rari. Sono figli di un tempo che non offre più certezze, che a volte sembra chiedere loro di crescere in un ambiente dove la violenza e il disorientamento sono all’ordine del giorno. In questa realtà, gli adulti – istituzioni, famiglie, comunità – hanno il dovere di tendere una mano, di creare spazi sicuri, di farsi garanti di una presenza che non giudica, ma guida.

Se non ci impegniamo ora a costruire luoghi come la Casa di Willy, a investire risorse nell’educazione e nella protezione dei nostri ragazzi, rischiamo di lasciare una generazione senza bussola, in balia di scelte difficili e spesso autodistruttive. La vera sfida per le periferie, e per tutti noi, è costruire insieme un futuro che non abbandoni i nostri giovani, ma li accompagni, con la pazienza e la cura che meritano.

Adolescenti e nuove dipendenze

Adolescenti e nuove dipendenze

Intervista di Katia Valente | Dipendenze da mondo virtuale, da quell’universo nel quale i ragazzi si rifugiano, allettante e modaiolo, ma che in realtà li sbanda, li devia, li porta sulle strade del- l’apparenza e della teatralità a tutti costi, ma anche lungo i sentieri delle droghe facili con una naturalezza disarmante.
Dipendenze accanto a quelle già conosciute e un mondo degli adulti che, spesso, resta alla finestra. Ma, anche e per fortuna, luoghi come la Casa di Willy a San Bartolomeo o il neonato Centro diurno di Exodus intitolato a don Lorenzo Milani come possibilità di accoglienza degli adolescenti e di rilancio autentico nella “vita reale”. Luigi Maccaro, responsabile della Fondazione Exodus di Cassino e già assessore comunale ai Servizi Sociali scatta una fotografia di questa nuova generazione e lancia un appello al presidente della Regione Rocca per costruire collaborazioni con Comuni e Terzo settore. Anche perché Centri giovanili e interventi educativi di strada, sono esattamente le risposte che servono.

Nuove dipendenze che si diffondono a macchia d’olio, la più insidiosa è quella da tecnologia? Com’è la situazione?

«Assolutamente sì, la tecnologia è una dipendenza insidiosa, ma non è solo questo: oggi per i ragazzi è uno scudo e allo stesso tempo una gabbia. La chiamano la “generazione ansia” e non è un caso. Vivono in un mondo dove ogni cosa è monitorata, dove si aspettano da loro risultati eccellenti, e dove il confronto è continuo. La tecnologia diventa un rifugio, ma alla fine si trasforma in una prigione, perché invece di permettere ai ragazzi di evadere, li espone ancora di più a questo controllo e confronto costante. E se non trovano modi per uscire da questa rete, il rischio è che il loro malessere cresca e diventi sempre più difficile da gestire».

Quale divario tra la realtà e l’online per i ragazzi? Quale la loro percezione?

«Molti ragazzi vivono questo distacco tra la vita online e quella reale come un peso. Online, sembra che tutti siano migliori, più felici, sempre al top, e loro si sentono obbligati a essere all’altezza, come se fosse una recita continua. È una pressione che li spinge a idealizzare il mondo digitale, mentre nel mondo reale non riescono mai a sentirsi abbastanza. Ecco perché tanti ragazzi si sentono bloccati, frustrati, senza strumenti per difendersi da questo confronto incessante. Lontano dagli schermi però c’è una libertà che dobbiamo aiutarli a ritrovare: il piacere di fare esperienze vere, con persone vere, senza preoccuparsi di essere perfetti o di piacere per forza».

Di cosa avrebbero bisogno nella più delicata delle fasi della crescita, l’adolescenza?

«In adolescenza, i ragazzi avrebbero un bisogno semplice ma fondamentale: essere lasciati liberi di sbagliare e scoprire chi sono senza sentirsi sotto esame.
Devono poter sperimentare, magari anche trasgredire, per imparare a cavarsela. Ma spesso noi adulti li controlliamo così tanto, e con aspettative così elevate, che rischiano di spegnersi. Anziché imparare dai propri errori, si sentono sempre in dovere di fare la cosa giusta e diventano quasi paralizzati dall’ansia di deludere. Credo che dobbiamo imparare a fare un passo indietro e fidarci di loro, lasciando che scoprano la propria strada. È così che cresceranno davvero, sviluppando una forza che sarà loro per tutta la vita».

La diffusione della droga corre anche online? Ci sono ramificazioni anche attraverso l’uso di uno smartphone?

«Purtroppo sì, e questo è allarmante. Oggi il web e i social sono diventati dei veri canali per il mercato delle droghe, accessibili in modo impressionante. Attraverso chat e social, i ragazzi possono trovare tutto, anche sostanze, con pochi clic, senza nemmeno uscire di casa.
Non solo: ci sono gruppi che normalizzano l’uso delle droghe, facendo sembrare che “provare” sia una parte quasi obbligata della crescita, come se fosse una tappa normale. È una realtà molto preoccupante, perché rende tutto fin troppo accessibile e facile, abbassando quei freni che potrebbero scoraggiarli. Combattere questa situazione significa prima di tutto riconoscere il problema: servono più monitoraggio, sensibilizzazione, e anche un impegno concreto delle piattaforme online per arginare questi rischi. Non possiamo ignorare quanto sia importante aiutare i ragazzi a sviluppare spirito critico e autocontrollo, perché la tecnologia non diventi una strada diretta verso pericoli reali».

Quali luoghi per prevenire e quali rimedi per “curare”?

«La prevenzione e il supporto concreto devono partire dai luoghi dove i ragazzi vivono ogni giorno, ma per farlo occorrono risorse e strutture accessibili in ogni area. È per questo che rivolgo un appello alla Regione Lazio e al Presidente Francesco Rocca, che so essere molto sensibile a questi temi, affinché possiamo lavorare insieme per portare fondi necessari sui territori, così da promuovere la nascita di centri di aggregazione giovanile. A Cassino, ad esempio, abbiamo aperto la Casa di Willy a San Bartolomeo grazie alle risorse comunali: un luogo di riferimento, sicuro e accessibile, dove i giovani trovano ascolto e attività per crescere in modo sano. Ma c’è ancora molto da fare. È altrettanto importante promuovere interventi educativi di strada, soprattutto nei luoghi della movida e del tempo libero, perché a volte sono proprio i ragazzi più a rischio quelli che tendono a sfuggire ai contesti più controllati.
Per raggiungerli, è fondamentale andare direttamente nei loro spazi abituali, instaurando un dialogo sincero e senza pregiudizi. Abbiamo la responsabilità di avvicinarci a loro, per offrire supporto, ascolto e strumenti per affrontare le difficoltà che incontrano, evitando che si sentano soli o isolati».

Stop agli smartphone in classe

Stop agli smartphone in classe

Da settembre il cellulare resta a casa o al massimo chiuso nello zaino. Ritorna il caro vecchio diario di carta per segnare i compiti. Smartphone banditi dunque, anche per uso didattico sotto il controllo degli insegnanti.
L’uso eccessivo della tecnologia ha un impatto negativo e potenzialmente pericoloso sullo sviluppo cognitivo dei ragazzi. Per non parlare del crollo del rendimento scolastico degli adolescenti. Distrazione, perdita di memoria e di concentrazione, diminuzione della capacità dialettica e di spirito critico. Con tanto di studi scientifici a supportare la decisione del Ministro accolta con favore da tanti genitori rassicurati dal provvedimento.
Insomma il nemico smartphone è messo all’angolo. Ed ora? Assisteremo ad un cambiamento generazionale epocale? Ai social abbiamo dato la colpa di fronte ai ragazzi depressi, a quelli che si comportano male con gli adulti, a quelli che non vanno bene a scuola, di fronte agli episodi di bullismo e alle sfide pericolose. Tutto il disagio e la sofferenza giovanile di questi anni hanno trovato una causa, il famigerato cellulare che adesso dovrà vedersela con il Ministro dell’Istruzione. Quanto ci piace semplificare la complessità del nostro tempo! Anche perché così abbiamo più tempo per postare su tutti i social le nostre opinioni, la nostra vita privata, la rappresentazione di noi stessi che ci fa sentire all’altezza di una timeline straboccante di modelli di successo. Sarà anche per questo che andiamo perdendo credibilità di fronte ai ragazzi?

Torniamo a fare gli adulti

Non c’è dubbio che oggi fare il genitore è più complicato di ieri: l’era digitale mette i ragazzi su un piano diverso dal nostro approccio “analogico” alle cose della vita. Però l’uso smodato della tecnologia e dei social, diciamocelo, riempie un vuoto, per un per un bel po’ di tempo delle nostre giornate. E poi lascia un vuoto ancora più profondo. E piano piano diventa come una droga. Ti da la sensazione di benessere, di euforia, ti fa dimenticare i problemi, poi finisce l’effetto e i problemi tornano ingigantiti. E si ricomincia. Un circolo vizioso che giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno ci va trasformando in adulti sempre meno adulti e sempre più adolescenti. Sempre più fragili. E magari pensiamo anche che i nostri figli non se ne accorgano. Però tutti a parlare della fragilità degli adolescenti confortati da studi, statistiche, esperti e gridi d’allarme.

Fuori il cellulare, dentro l’educazione digitale

Mettere al bando il cellulare non basta. A noi adulti, a scuola e in famiglia, resta il compito di educare ad un uso consapevole e responsabile dello smartphone e dei social. Da dove si comincia? Con un po’ di umiltà bisogna imparare alcune cose prima di spiegarle ai ragazzi. In rete si trova di tutto ma anche questo approccio rischia di essere semplicistico di fronte a questioni così complesse. La cosa migliore è partecipare a qualche momento formativo rivolto agli adulti, genitori e insegnanti, con la presenza di esperti. Gli incontri “in presenza” sono importanti perché consentono di confrontarsi, porre dubbi, sperimentare gli strumenti, ad esempio di parental control, condividere soluzioni, buone prassi e abbassare il livello di ansia. Il primo bisogno dei genitori è quello di non sentirsi soli perché il senso di impotenza ovviamente prelude all’atteggiamento rinunciatario. E a forza di rinunciare ad educare i figli stiamo finendo per rinunciare a farli i figli.

L’Università della Famiglia

Ci sono tante realtà del terzo settore, ma anche Scuole e qualche Comune, che organizzano incontri di formazione per genitori ed insegnanti. Exodus ha lanciato diversi anni fa l’Università della Famiglia che, anche quest’anno, ad ottobre, riaprirà le attività con incontri animati da esperti con lunga esperienza di lavoro con gli adolescenti, nel campo del disagio giovanile, delle dipendenze, della relazione educativa e della progettazione sociale. La famiglia e la scuola sono i fattori di protezione più importante contro la sofferenza che galoppa tra i giovani, soprattutto dalla pandemia in poi. Informarsi, capire ed educare è un compito e una responsabilità a cui non possiamo sottrarci. Proviamo a farlo insieme, proviamo a farlo tutti.

Foto di copertina: Image by freepik

Ordinanze ok ma chi le rispetta?

Ordinanze ok ma chi le rispetta?

Radio Cassino Stereo, intervista di Rita Cacciami | Sulla movida e sugli adolescenti ho fatto una chiacchierata con Rita Cacciami ai microfoni di Radio Cassino Stereo. Si inaspriscono le regole ma quando avremo un presidio stabile delle Forze dell’ordine affinché le ordinanze vengano rispettate? Affinché i nostri figli possano contare su uno Stato che li protegga dai pericoli della cosiddetta “malamovida”?

https://youtu.be/cL-rpRmdDVo?si=9DpxYKfJZrFFmETa
Intervista con Rita Cacciami su Radio Cassino Stereo

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